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Rinnovare la Chiesa, servire il mondo. Il Meic per il sinodo

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Il Documento Meic sul Cammino sinodale della Chiesa in Italia

(Scarica qui il documento in formato pdf)

Il Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic) ha lungamente lavorato intorno ad alcune temi del percorso sinodale della Chiesa italiana ed universale.

In primo luogo, ha costituito un “gruppo di studio” che, riunitosi regolarmente a distanza, ha prodotto una prima bozza del presente documento.

In secondo luogo, ha organizzato a Roma, nei giorni 2-3 aprile 2022, un convegno dei presidenti diocesani dedicato ad approfondire alcune tematiche presenti nel “Documento preparatorio per una Chiesa sinodale”. Il Convegno è stato introdotto da una relazione di p. Giacomo Costa sj ed è proseguito attraverso 5 “tavoli di lavoro sinodali”, dedicati a 5 dei 10 “nuclei tematici da approfondire” indicati nel suddetto “documenti preparatorio”, ed esattamente:

  • I Compagni di viaggio
  • V Condividere la responsabilità (Corresponsabili nella missione)
  • VI Il dialogo nella chiesa e nella società
  • VII Con le altre confessioni cristiane
  • IX Discernere e decidere

Ogni tavolo era composto da una decina di persone (fra presidenti di gruppi locali, coordinatori regionali, consiglieri nazionali, singoli soci). Ogni responsabile dei tavoli di lavoro ha prodotto una breve sintesi del proprio tavolo.

La bozza elaborata dal “gruppo di studio” di cui sopra, e le risultanze dei “tavoli di lavoro” del convegno dell’aprile 2022, sono state poi riviste e implementate dalla Presidenza e dal Consiglio nazionale, che ha approfondito il testo nelle riunioni del 2 giugno 2022, del 26 novembre 2022 ed infine dell’11 febbraio 2023.

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L’esperienza inesauribile di umanità che il nostro tempo ci lascia incontrare chiama la Chiesa a dire di nuovo la Parola che salva. E questa Parola non è comando o imposizione, ma rivelazione di come Dio scelga di camminare nella storia degli esseri umani e lì, come il seminatore nel campo, spargere il seme buono che darà frutti rigogliosi.

Questo sguardo d’amore di Dio sul mondo e sulla storia, che ha il volto, le mani e la gioia di Gesù, dice del bisogno di un approccio sapienziale che per il nostro Movimento significa lo sforzo di una intelligenza della fede a partire dalla esperienza di Chiesa che viviamo.

L’intenzione del MEIC è di offrire un contributo a questa ricerca che è il Sinodo della Chiesa. Vogliamo cogliere questa occasione per imparare, assieme a tutte le donne e a tutti gli uomini di buona volontà, a dare un nuovo sapore alle cose ed essere così capaci di vivere la ricchezza spirituale della costante tensione fra storia e Parola, fra realtà e Vangelo.

Una consapevole esperienza della realtà aiuta a penetrare l’intelligenza della Scrittura e a sua volta quest’ultima misura la realtà, la relativizza, cioè ne svela la verità perché la mette in relazione con quel termine ultimo che è l’alfa e l’omega della storia.

Per questo abbiamo scelto di strutturare
il nostro contributo al Sinodo
secondo la sequenza del vedere, giudicare e agire.

Lo abbiamo pensato come un esercizio di responsabilità ecclesiale, come un volerci far carico, da battezzati, del compito di essere, anche noi, annunciatori del Vangelo in questo nostro tempo.

A tale sequenza ci permettiamo di avanzare come premessa questioni fondamentali, che rimandano ad alcuni “nodi” già presenti nei documenti del Concilio Vaticano II, e che il Sinodo, a nostro giudizio, dovrebbe affrontare.

Due questioni preliminari

1- Il cammino sinodale della Chiesa italiana e quello della Chiesa universale si svolgono a oltre cinquant’anni dalla fine del Concilio Vaticano II. La costituzione dogmatica De ecclesia, o Lumen Gentium , rappresenta il punto di partenza della riflessione sinodale. 

Lumen Gentium ha profondamente innovato l’autocomprensione della Chiesa cattolica.

Come a dire che l’uguale dignità di tutte le persone battezzate precede da ogni punto di vista la differenziazione gerarchica, che il sacerdozio comune dei fedeli è fondamento del sacerdozio ministeriale.

Con una immagine, il Papa ha parlato di “piramide rovesciata”; se prima del Concilio il popolo stava sotto, e sopra i preti, i Vescovi ed infine il Papa, ora il popolo di Dio sta sopra, e la gerarchia è al suo servizio.

Tuttavia tali immagini, pur suggestive ed efficaci, non risolvono il problema teologico, che il Concilio ha lasciato aperto, della relazione fra il capitolo secondo ed il capitolo terzo, fra la dichiarata e sottolineata uguale dignità di ogni componente del popolo di Dio in virtù del Battesimo, e la differenziazione gerarchica in virtù del sacramento dell’Ordine, con la “separazione” del clero rispetto al resto del popolo di Dio, ed il conseguente, persistente clericalismo più volte denunciato dal Santo Padre.

Il Sinodo dovrà affrontare tale fondamentale questione, con le sue implicazioni teologiche, liturgiche, pastorali, di diritto canonico, istituzionali.

2- Il Santo Padre, e numerosi commentatori e teologi, hanno ribadito la differenza fra la Chiesa cattolica e le moderne forme di democrazia politica. Le assemblee sinodali, ai diversi livelli, non sono dei Parlamenti; il metodo sinodale non è una “democrazia”.

E tuttavia, se “la Chiesa non è una democrazia”, nemmeno è una “monarchia assoluta”, come sostanzialmente si era autocompresa nel Concilio Vaticano I.

Il Sinodo dovrà pertanto trovare procedure decisionali nella vita della Chiesa, ai vari livelli, che, pur nella distinzione rispetto ai sistemi parlamentari e al gioco di maggioranze e minoranze, consentano a tutte le componenti del popolo di Dio la partecipazione attiva ai momenti decisionali della vita della Chiesa.

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Vedere

L’esperienza ecclesiale che il MEIC condivide è quella della Chiesa italiana, nella quale le criticità e le fatiche dei cristiani di oggi si declinano con alcune specificità legate alla vicenda del paese. Le difficoltà che segnano un’esperienza di fede matura emergono da un diffuso clericalismo; da un quadro politico italiano che vede un cattolicesimo bloccato fra la netta separazione fra fede e politica da un lato e la tentazione di fare del magistero sociale della Chiesa un manifesto politico.

Vivendo nel mondo i cristiani condividono le tensioni, le lacerazioni, le aspirazioni e le rivendicazioni che segnano la società di questi primi decenni del nuovo secolo.

Questo vale per la piena partecipazione delle donne alla vita della Chiesa, per il ruolo dei giovani coi loro appelli alla equità, alla giustizia, alla libertà, per il bisogno di una nuova cultura della pace.

La fatica della Chiesa italiana di fronte a questi nodi del nostro tempo accentua la comprensione di una esigenza di riforma che sia certamente spirituale e che tuttavia non può non affrontare il nodo della forma ecclesiae.

Appare sempre più chiaro lo iato fra l’ecclesiologia del Concilio e la struttura della Chiesa italiana, in parte ancora legata al modello tridentino.
Nelle nostre realtà diocesane, sebbene non manchino preziose esperienze di cura delle relazioni ecumeniche e interreligiose, traspare una non abitudine all’incontro ordinario con le altre comunità cristiane e con le altre fedi. Aspetto questo che dovrebbe essere centrale, anche riguardo alla responsabilità che i cristiani hanno nei confronti della città dell’uomo.

Giudicare, ossia Valutare

La consapevolezza delle fragilità e delle debolezze della Chiesa italiana apre la strada ad un rinnovamento, rende esplicito il bisogno del Popolo di Dio di tornare a sedere in ascolto del Maestro per poi mettersi ancora in cammino.

In questo tempo, infatti, vi è ancora più bisogno di Vangelo annunciato e testimoniato che porti donne e uomini all’incontro con il Signore. Nasce da qui l’esigenza di far maturare in tutta la Chiesa italiana una coscienza ecclesiale che sappia cogliere con pienezza tutta la ricchezza che scaturisce dalla polarità fra cultura e fede.

Questa dinamica salutare mostra ai cristiani quelle che sono le tappe di un cammino di riforma possibile per la Chiesa, a partire dal grande tema della condivisione della responsabilità, fondata sul battesimo che ci fa essere tutti parte della Chiesa.

Imparare a condividere la responsabilità significa, infatti, avviare processi di modifica di strutture mentali radicate, secondo le quali, ad esempio, il laico è solo un collaboratore per alcune attività pastorali; ma significa anche modificare strutture “organizzative” nella Chiesa, strutture che spesso hanno smarrito il senso originario di essere strumenti attraverso cui le diverse vocazioni si esprimono e si realizzano.

Questa coscienza ecclesiale comporta anche il definitivo superamento di un modo di intendere il laicato ancora imperniato sulla dicotomia con il clero.

Essere laikos significa piuttosto
essere “del popolo”,
dunque essere parte del Popolo di Dio.

Si tratta cioè della condizione di tutti i credenti battezzati, nella quale poi si determinano distinzione in ragione del ministero che altri sacramenti comportano: dal presbiterato al matrimonio. Nell’ambito di tale rinnovamento, è già oggi importante ricordare che la pur fondamentale esperienza della parrocchia non esaurisce la molteplicità delle esperienze di fede e di vita cristiana.

In una prospettiva più ampia potrebbe essere necessario pensare a una pluralità di modelli organizzativi nella Chiesa, anche cogliendo gli stimoli che provengono dalle “periferie”, spesso portatrici e anticipatrici di novità feconde.

La vicenda della pandemia e quella della guerra in Ucraina hanno poi reso evidente l’età “planetaria” nella quale siamo entrati, che impone di pensare l’esperienza dell’umanità non come confinata ad un paese o a una regione del mondo, ma a tutto il globo.

È qui che emerge la fragilità di una cultura della pace che serve alimentare. Anche nella Chiesa si fatica a pensare la pace nella sua dimensione compiuta: la si limita all’assenza di guerra e violenza, e non si coglie come invece la pace sia essenzialmente il contrario dell’oppressione, e perciò debba essere coniugata alla giustizia.
Oppressione degli altri e dei popoli, certamente, che si traduce non solo in termini di guerra, ma anche di economia e relazioni politiche e sociali, in oppressione di culture, oppressione della casa comune violentata nei suoi equilibri ambientali: e dunque giustizia nella dimensione sociale, economica, politica, culturale, ecologica.

Il tema della pace, virtuosamente congiunto al valore della giustizia, chiede di essere l’oggetto di una spiritualità compiuta che ancora manca.

Occorre abbattere i muri di diffidenza reciproca che spesso sono ancora presenti, sia nelle comunità cattoliche, sia nelle altre confessioni cristiane. Siamo chiamati a cogliere ogni occasione di confronto con le altre Chiese cristiane dei nostri territori e dell’intera area europea sia sui temi proposti dal cammino sinodale, a cominciare dalla sinodalità, sia sullo sforzo di far crescere in tutti i cristiani una coscienza evangelica matura e radicata nella Parola.

Agire

Lo sguardo della fede sul tempo presente e sull’oggi della Chiesa italiana suggerisce anche il modo in cui il Popolo di Dio può camminare in questo nostro tempo.

Dobbiamo guardare all’essere cristiani nei termini di uno “stile”, cioè di una fede che è curiosità dell’umanità e delle sue molteplici espressioni e che in essa impara a riconoscere lo spazio in cui può abitare la Parola e dunque ne fa l’oggetto di un amore gratuito.

Si coglie qui la chiamata ad aprirci alle culture ed ai linguaggi contemporanei, dei giovani e dei movimenti femminili come dei migranti che chiedono accoglienza e dignità nelle nostre comunità, ed ancora delle vittime di conflitto che hanno bisogno di curare le ferite del corpo e dell’anima, di curare la malattia dell’odio che la violenza semina nel cuore degli esseri umani e nella coscienza dei popoli.

Abbiamo dunque il dovere di costruire itinerari fondati sullo studio, sull’incontro e sull’ascolto di queste visioni, sull’abbraccio e sull’ascolto delle donne e degli uomini che incontriamo.

Abbiamo il dovere di abbandonare ogni dogmatismo per imparare da queste esperienze a pensare di nuovo la nostra fede, sapendo che i semi di Vangelo che incontriamo in questa realtà ci aiutano ad affinare la nostra intelligenza spirituale della Parola e a vivere la gioia del Cristo risorto.

Una sfida che ci riguarda come credenti è quella di contribuire alla costruzione di una nuova intelligenza dell’essere umano e di linguaggi nuovi con cui vivere la nostra umanità. Serve continuare nelle tante esperienze già in atto, offrendo un contributo di idee e di opere.

La Chiesa è chiamata ad essere inclusiva, per ogni persona.

La cosiddetta “questione femminile”
non è un problema delle donne:
è un problema della Chiesa e del mondo stesso,

chiamati a respirare con entrambi i polmoni, quello maschile e quello femminile. Ciò significa attuare itinerari assieme a quelle realtà culturali e sociali e politiche che, dentro e fuori la Chiesa, interrogano l’opinione pubblica e le coscienze sulla condizione delle donne.

Interrogarsi sul pieno coinvolgimento e la partecipazione dei giovani alla vita ecclesiale significa ad esempio, costruire iniziative ecclesiali con quelle realtà nelle quali i giovani, dentro e fuori la Chiesa, pongono le loro istanze e chiedono ascolto e guida.

E lo stesso metodo occorre per le altre grandi questioni del nostro tempo: dall’ambiente a quelle legate al mondo del lavoro, dalle rivendicazioni dei movimenti LGBTQ+ a quella dei diritti civili, fino al grande tema della pace.

E proprio rispetto al tema della pace diviene essenziale spendere energie, fatica e gioia nella costruzione di un autentico cammino ecumenico.

Si tratta di alimentare lo scambio di buone prassi su iniziative ed esperienze promosse in diverse realtà diocesane e locali, di realtà religiose e di associazioni laicali. Allo stesso modo è importante creare o rafforzare le reti di collaborazione con altri gruppi e movimenti per promuovere iniziative di dialogo ecumenico.

Ancor più essenziale è spendersi perché la Chiesa italiana e le nostre chiese diocesane dedichino i loro sforzi al dialogo con tutti i credenti. La fede nel Signore ci chiama ad una testimonianza di unità che non fa velo alle sofferenze e alle discriminazioni che ci sono state, ma le legge nella logica della misericordia che ci fa scoprire fratelli nella fede.

Il quadro che così si compone rende visibile il compito essenziale a cui sono chiamate le associazioni laicali.

Proprio di fronte a queste esigenze comprendiamo meglio il Concilio lì dove ricorda che compito dei laici è quello di animare la realtà sociale, il saeculum. Vi è qui una ministerialità specifica che come laici siamo chiamati ad esercitare: è il nostro assumerci, nella Chiesa, la responsabilità dell’annuncio della Parola.

Questo rende però necessario che queste realtà associative dialoghino fra loro riconoscendo che il proprio carisma contribuisce a determinare il volto della Chiesa, ma non ne è l’unica ed esaustiva espressione. Ed esige che questo ruolo e questo intreccio di esperienze ecclesiali trovi una piena rappresentazione nella Chiesa e nelle istituzioni con cui essa cerca di organizzare la propria missione.

Si inserisce qui il bisogno di rinnovamento
degli organismi di comunione e corresponsabilità
già esistenti

– a cominciare dai Consigli pastorali parrocchiali e diocesani e dai Consigli presbiterali – per una verifica e, se del caso, per una revisione dei criteri di formulazione/eleggibilità dei consigli stessi.

È indispensabile che questi organismi dialoghino tra loro, anche in sedute congiunte, perché la corresponsabilità non può prescindere da esperienze concrete di confronto, dialogo e comunione nella preghiera e nel riconoscersi e rispettarsi gli uni con gli altri; ed è anche auspicabile che con gradualità, ma non con lentezza, si giunga a forme di responsabilità condivisa a livello deliberativo.

Non si tratta solo di aggiustamenti di natura istituzionale: piuttosto queste proposte vanno nella direzione di una Chiesa che si pensa e vive come Popolo di Dio, come comunità confessante e orante.

Questo modo di pensare la riforma della Chiesa si inserisce così in un più profondo ripensamento dell’essere Chiesa dei cattolici italiani:

la riforma istituzionale si innesta e trova senso nella riforma spirituale. La Chiesa italiana ha davanti a sé un tempo di grazia, nel quale lasciar finalmente fiorire l’albero del Concilio e di una fede che sa alimentarsi delle energie diffuse nella realtà del nostro paese, che la grazia della Parola nutre, come la pioggia che irriga la vigna e chiama a dissodarla con pazienza e con cura i tanti operai del Signore che vogliono fiorisca e dia frutto.

 

Suggerimenti concreti
per una conversione sinodale della Chiesa

Riguardo alla sua struttura istituzionale

Alla luce della riflessione precedente, si avanzano alcune sintetiche proposte in riferimento all’organizzazione della comunità ecclesiale ed all’impegno dei credenti in ambito politico, auspicando che esse possano aprire un dialogo con altre realtà, ecclesiali e civili.

In primo luogo, si chiede un effettivo rilancio degli organi di partecipazione alla vita della Chiesa voluti dal Concilio, in particolare dei consigli pastorali parrocchiali e diocesani.

Autorevoli persone di Chiesa propongono che tali organismi abbiano potere deliberativo; in attesa dei necessari cambiamenti del diritto canonico, si suggerisce:

  • che i consigli pastorali comunque esprimano con un voto i loro “consigli”;
  • che vi sia uno stretto dialogo fra consigli pastorali e presbiterali (anche con convocazioni in comune);
  • che la Consulta delle Aggregazioni Laicali possa avere un ruolo propulsivo nella vita della Chiesa. 
  • Inoltre, si propone la creazione di un Consiglio Pastorale di livello nazionale, come auspicato da p. Sorge al termine del I Convegno ecclesiale (Roma, 1976), quale organismo che dovrebbe avere voce in capitolo sulle grandi questioni della vita della Chiesa, “consigliando” la Conferenza Episcopale.

I credenti devono infatti vivere la loro appartenenza ecclesiale “con le ginocchia piegate e la schiena diritta”.

Ancora, si osserva che una effettiva comunione – nel dialogo costante e nel reciproco ascolto fra i Pastori ed il resto del Popolo di Dio: donne e uomini, coppie e vergini, ministri ordinati, istituiti o di fatto – dovrebbe facilitare il superamento del clericalismo, che Francesco più volte ha indicato come una piaga della Chiesa, che “condanna, separa, sfrutta il popolo di Dio”.

Infine, si sottolinea che la riforma della Curia romana (cfr. “Praedicate Evangelium”) ha introdotto il principio che, per essere al servizio diretto del ministero petrino, l’unico titolo necessario è la fede, attestata dal Battesimo.

Il sacramento dell’Ordine sacro non è più condizione necessaria per servire la Chiesa nella Curia romana: ciò ha un profondo significato in merito al tema della comunione ecclesiale, della sinodalità nel governo della Chiesa (sinodalità che consente a tutte le componenti del popolo di Dio di essere presenti e operanti in Vaticano, in ruoli e compiti stabiliti dal Santo Padre In base alle competenze proprie, e non in base ai sacramenti ricevuti); e di conseguenza anche in merito alla presenza nei ruoli di governo della Chiesa, tanto di battezzati uomini quanto di battezzate donne.

In ordine ai rapporti con la sfera politica

Ma l’attenzione della comunità dei credenti, in questa fase sinodale, non può certo risultare confinata alla “riforma della Chiesa” (per così dire, ab intra): non si deve dimenticare (e far dimenticare) che la Chiesa non vive per sé, ma per il mondo. Occorre perciò mettersi in ascolto del mondo di oggi, e, per quanto riguarda la Chiesa italiana, occorre studiare, confrontarsi, dialogare con i nuovi modelli culturali presenti in Italia (come, più in generale, nel mondo occidentale: si pensi solo al tema del “mondo digitale”), vincendo il rischio di un “etnocentrismo cattolico”.

E per quanto specificamente riguarda il nostro Movimento, del resto, il “titolo” ad occuparci della cultura del nostro Paese era già nel DNA dei Movimento dei Laureati cattolici, in cui affondano le nostre radici. Non ci appartiene perché esprimiamo una tradizione pur significativa e nemmeno per ricoprire una presenza; ci appartiene “come vibrazione popolare connaturale a questo momento della storia”(A. Moro, 1969).

In questa prospettiva, si propone qui qualche breve riflessione relativa all’impegno dei credenti nella dimensione propriamente politica, che possa entrare in dialogo con quanti, nella comunità ecclesiale (e non solo), vogliano promuovere un rinnovato impegno in tale ambito.

Non sarà inutile ancora una volta ribadire che parlare di politica significa prima di tutto riscoprire la “vocazione alla politica” come dimensione fondamentale del cristiano. La fede non isola l’uomo, ma crea piuttosto comunione tra gli uomini ed è garanzia dei valori umani e del progresso civile. L’esperienza cristiana deve pertanto essere sentita come “principio di non appagamento” (A. Moro) e di mutamento dell’esistente nel suo significato spirituale e nella sua struttura sociale.

Nell’ambito della dimensione politica, è divenuto ormai abitudinario il richiamo ai due diversi piani sui quali opera il cristiano: quello della politica contingente e quello della spiritualità cristiana. Ugualmente frequente è il richiamo ad essere presenti in entrambi i piani secondo l’ordine di ciascuno.

Ma occorre altresì considerare che altro è enunciare teoricamente una verità, altro è tradurla in pratica; altro è affermare un principio con chiarezza razionale, altro è delineare un equilibrio difficile che con misura, tatto e responsabilità possa essere presentato a tutti.

Così, di volta in volta, a seconda dei momenti storici, o il “cristiano politico” rinuncia alla mediazione o soffoca i valori in un relativismo indifferenziato.

“Ma se vogliamo essere apportatori di un valore ‘nostro’ alla politica, se vogliamo portare il patrimonio dell’identità cristiana nella politica, è necessario ricordare che le nostre idee le dobbiamo portare al confronto e alla collaborazione con tutti, sapendo che vi è una radice comune per cui si può fare, nel segno della libertà, un cammino comune.” (A. Moro).

Dunque, la politica chiede di individuare due livelli di intervento: il perimetro delle idee e l’agenda dei problemi. In assenza del primo, la politica si riduce a cinismo e potere; in assenza del secondo, la politica diventa pura astrattezza e presenza testimoniale.

Esemplare al riguardo si presenta l’alto livello di preparazione politica e tecnico-giuridico che ha caratterizzato l’apporto dei cattolici alla Costituente e alla nascita della Repubblica: ed è appunto in forza di tale caratterizzazione che essi diedero un contributo fondamentale alla definizione della legge fondamentale dello Stato e all’edificazione della nostra democrazia.

In sintesi, si deve incardinare l’impegno politico dei credenti (e la necessaria azione di “pedagogia civile”) intorno a tre riferimenti:

  • a) il principio di “non appagamento”, che per noi è l’anima utopica e la idealità cristiana della democrazia;
  • b) il richiamo alla responsabilità politica, alla competenza, alla credibilità, al rigore morale;
  • c) il realismo che indica il limite dell’azione politica, dovendosi sempre ricordare che c’è un “al di là della politica” (ancora A. Moro) da rispettare.

Conclusione

In questa prospettiva, desideriamo
camminare con altri movimenti e associazioni laicali

presenti nel mondo cattolico (e non solo), a partire naturalmente da quanti storicamente sono a noi più vicini (Azione cattolica, FUCI, Associazioni professionali).

E forse il Consiglio Pastorale Nazionale cui si è sopra fatto cenno potrebbe porsi come un luogo di “discernimento” comune in ambito ecclesiale, nel quale affrontare queste tematiche.

La Presidenza e il Consiglio Nazionale del MEIC
prof. Luigi D’Andrea, Presidente