1. Home
  2. Opinioni
  3. Il senso teologico della partecipazione
0

Il senso teologico della partecipazione

0

La “partecipazione” può anche essere definita, o per lo meno, descritta come «coinvolgimento della persona e del gruppo umano nella vita sociale e nei suoi orientamenti» (Cfr. L. Lorenzetti, in Dizionario teologico enciclopedico, Piemme, Casale Monferrato 2004). Di qui l’interesse per la sociologia e per le scienze politiche. Constatiamo che è anche il sogno del cuore umano vivere una esperienza relazionale armoniosa: utile a tutti, gioiosa (vale a dire, felicità possibile). Contemporaneamente comprendere tale relazionalità come fraternità che ci inserisce nel vivo della riflessione fatta sulla democrazia (vita politica e sociale) come possibile, e sulla sinodalità (vita ecclesiale) come unica praticabile. Siamo invitati dai relatori del convegno “Democrazia e sinodalità. La sfida della partecipazione” ad avere le parole, ad arricchire la nostra capacità di discernimento, a provarci nel tentare di essere persone di partecipazione democratiche e sinodali. Di fatto ci mettiamo in cammino insieme. Mi è stato affidato il tentativo di avviare la riflessione sul senso teologico di partecipazione. Mi permetto di suggerire tre prospettive, quale piccola autostrada a tre corsie in cui incamminarci.

Prospettiva Cristologica

Se è vero che senza Cristo non possiamo fare nulla (Gv 15,5), egli si identifica in ogni bisognoso (Mt 25,31-46: alla fine tutti saremo giudicati sull’amore) e in ogni piccolo (Mt 10,42: anche donando un solo bicchiere di acqua); fare del bene ad ogni persona è farlo a Lui. Richiamo il testo matteano che ci orienta in una piccola prospettiva teologica quando nel discorso programmatico della montagna (Mt 5,16) Gesù ci insegna che ogni opera buona è rivelatrice ai beneficiari che Dio è presente ed è co-agente con noi. In sintesi: il primato di iniziativa e di azione collaborativa nella partecipazione va a Dio, coscienti o no che siamo di questo. Vale la pena qui ricordare che Ciro, re persiano pagano, fu promotore della liberazione e del possibile ritorno nella propria terra di Israele per disegno di Dio (Is 45); Ciro non lo conosceva e non era cosciente di collaborare a tale progetto divino.

Prospettiva Ecclesiologica

Se da un lato senza Gesù non possiamo fare nulla (Gv 15,5), dall’altro lato solo con e grazie a Gesù siamo una unità strutturale, divinamente coesa (socio-ecclesiale). Richiamo l’immagine paolina del “corpo” (1Cor 12) e la metafora giovannea della vite e i tralci (Gv 15). Gesù del corpo è capo; così Gesù è la vite da cui ramificano i tralci. Tutto voluto dal Padre per opera dello Spirito.

Prospettiva Antropologica-Teologica

Vi è una novità di vita nella persona cristiana credente (scrive Paolo: «non sono più io che vivo. Cristo vive in me», Gal 2,20) e vi è un corredo divinamente donato che si esprime in attitudini e comportamenti di partecipazione quotidianamente straordinari nei rapporti («Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, mitezza, controllo di sé» (Gal 5,22). È una forma di arcobaleno salvifico che va dall’invito-dono che fa di sé Gesù («Venite a me che siete affaticati e oppressi, imparate da me che sono mite e umile di cuore… avrete ristoro nella vostra vita», Mt 11,25-28) all’aver cura degli altri (come nelle due importanti parabole narrate da Gesù, secondo il Vangelo di Luca, nell’itinerario pedagogico dalla Galilea a Gerusalemme: la parabola del “buon samaritano” e il padre buono con due figli, l’uno prodigo e l’altro integrista e taccagno). Da qui cogliamo una duplice necessità: da una parte, la modalità di società strutturale e, dall’altra, l’educazione delle coscienze ai diritti e ai doveri con obiettivi da privilegiare.

Piccolo tentativo di sintesi

Non c’è partecipazione, conscia o no, senza l’azione-co-azione di Gesù, del “buon Dio”, e senza l’apertura in crescendo coltivata al rapporto interpersonale, cercato, voluto, educato, riproposto e riprogettato in continuità. Tale rapporto si fa dialogo con l’ascolto, la riflessione, il confronto, l’accettazione del diverso, la ricerca continua dell’incontro: si fa collaborazione efficace al bene di tutti. Tutto può attuarsi grazie ai doni di Dio, all’impegno paziente e costante nelle picco- le scelte e nelle azioni di ogni giorno, attraverso la responsabilità (intesa anche come corresponsabilità) che non addossa il dovere della partecipazione agli altri e non si fa sol- tanto giudice di ciò che non è stato fatto dagli altri, ma non si esime mai di offrire il proprio contributo, per quanto modesto sia.

Articolo di monsignor Luciano Pacomio, vescovo emerito di Mondovì (CN) già pubblicato sulla Rivista “Coscienza” n. 1 del 2024 (SFOGLIA QUI IL NUMERO INTEGRALE)