“L’Europa e i mondi slavi e balcanici” è il tema dell’incontro pubblico organizzato dal Meic di Lucca in collaborazione col gruppo culturale Lucca@Europa, che è tenuto venerdì 10 novembre 2023 presso l’auditorium della Fondazione Banca del Monte, in piazza San Martino.
L’incontro è stato promosso per promuovere una conoscenza più approfondita della cultura dei Paesi slavi e balcanici con i quali l’Europa occidentale è chiamata a confrontarsi e delle diverse modalità di rapporto tra identità religiosa e identità politica in essi operanti.
La progressiva integrazione nella comunità europea di alcuni popoli dell’Europa centro-orientale e della penisola balcanica (come la Polonia, la repubblica ceca, la Slovacchia, i Paesi baltici), e il processo di avvicinamento ad essa di altri Stati (non privo di ostacoli, evidenti nel caso della Macedonia e del Kosovo) hanno infatti evidenziato la presenza in essi di tradizioni politiche e religiose non del tutto omogenee con alcuni caratteri dei Paesi fondatori (come la forte laicità), e in particolare di un accentuato nazionalismo spesso accompagnato da venature religiose.
Si tratta comunque di realtà diversificate tra di loro. Abbiamo parlato di “mondi slavi e balcanici” al plurale proprio per evidenziare le diverse modalità con cui si articola in questi Stati il rapporto tra cultura, religione e politica: dal nazionalismo cattolico di Polonia, Slovacchia, Croazia alla profonda secolarizzazione della società ceca; dalla separazione tra identità nazionale e diverse appartenenze religiose che caratterizza l’Albania al nazionalismo ortodosso della Serbia (il cui leader Milosevic nel 1989 si richiamò alla sfortunata battaglia della piana dei Merli del 1389 per ribadire la doverosa dipendenza del Kosovo dalla Serbia, in termini simili all’uso strumentale della storia e dell’eredità di Kiev da parte di Putin).
Perché un incontro sui “mondi slavi”
Abbiamo organizzato questo incontro per cercare di comprendere meglio le dinamiche di questo mondo europeo che non fa ancora parte della Comunità europea o, pur facendone parte, fatica ad accettare forme più strette di integrazione e di solidarietà (basta pensare alla questione dei migranti e alla difficoltà di costruire una politica estera comune di fronte a crisi come l’aggressione all’Ucraina e il riemergere del conflitto tra Israele e la Palestina) e le radici storiche delle differenti identità culturali e religiose (e delle loro ricadute politiche).
L’Europa orientale e balcanica comprende infatti Paesi ortodossi che si ricollegano al “Commonwealt bizantino” e si richiamano all’eredità dei santi Cirillo e Metodio, che nel IX secolo crearono l’alfabeto cirillico, e Paesi di tradizione cattolica più legati a Roma e all’Occidente latino, ma anche Paesi segnati da una significativa presenza islamica come la Bosnia e l’Albania. Con coraggio profetico il papa polacco Giovanni Paolo II sottolineò la necessità di allargare gli orizzonti dell’Europa verso est, proclamando nel 1980 (con la lettera apostolica Egregiae virtutis) Cirillo e Metodio compatroni d’Europa e dedicando ad essi nel 1985 l’enciclica Slavorum apostoli, che intendeva ribadirne il ruolo di “ponte spirituale tra la tradizione orientale e la tradizione occidentale”, capace di far respirare l’Europa (idealmente allargata dall’Atlantico agli Urali) “con due polmoni, quelli dell’Occidente e quello dell’Oriente”.
I relatori
Hanno accompagnato e guidato la nostra riflessione due relatori di eccezione. Il primo è lo slavista Marcello Garzaniti, che nei suoi studi (tra cui Gli Slavi. Storia, culture e lingue dalle origini ai nostri giorni, Carocci 2019; Storia delle letterature slave, Carocci 2023) ha suggerito un approccio complessivo al mondo slavo che tenesse conto dei nodi del passato e dello stretto intreccio tra coscienza nazionale e fede religiosa.
Da parte sua Roberto Morozzo della Rocca, storico dell’Europa orientale e balcanica, ha analizzato nelle sue pubblicazioni la storia di Paesi come l’Albania e il Kosovo ed evidenziato il difficile rapporto delle Chiese ortodosse con la modernità (Passaggio a Oriente: la modernità e l’Europa ortodossa, Brescia, Morcelliana, 2012) e il serrato confronto, dopo le due guerre mondiali, tra la Chiesa di Roma e la prospettiva nazional-religiosa della Chiesa polacca (Le nazioni non muoiono. Russia rivoluzionaria, Polonia indipendente e Santa Sede, Il Mulino 1992) e di quella ungherese.
Gli slavi cristiani e la storia
Marcello Garzaniti ha esordito citando il celebre libro di Denis de Rougemont, L’amour et l’Occident, che intravedeva un legame tra lo sviluppo dell’ideale dell’amore cortese in Europa occidentale e l’influenza di movimenti ereticali balcanici come il bogomilismo, per evidenziare le interazioni culturali tra l’Occidente europeo e l’area di tradizione bizantina.
Ha poi ricordato come Giovanni Paolo II abbia tratto l’immagine dei “due polmoni” dal russo Ivanov ed ha evidenziato il ruolo fondamentale dell’Impero cristiano orientale di Costantinopoli (considerata la “seconda Roma”) e dei missionari bizantini Cirillo e Metodio, che creando l’alfabeto cirillico (ancor oggi in uso in Russia, Ucraina, Bulgaria, Serbia, Montenegro) e una liturgia slava costruirono una identità culturale fondato non sul richiamo alla cultura classica ma sulla fede religiosa.
Ha infine illustrato le caratteristiche di un secondo polo dell’Europa centro-orientale, quello slavo-latino, rappresentato dalla Polonia, dalla Boemia, dalla Croazia e da altri Paesi che stabilirono stretti rapporti con l’Occidente latino-germanico. In particolare la Polonia si percepì all’inizio dell’età moderna come confine, come “antemurale” chiamato a difendere la cristianità europea dalle minacce dei popoli nomadi e dagli scismatici (i russi ortodossi), mentre dopo la caduta dell’Impero bizantino ad opera degli Ottomani la Russia sviluppò l’idea della “terza Roma” presentandosi come l’erede di quell’Impero e riconoscendo al principe di Mosca il titolo di zar (da Caesar).
Le difficoltà del dialogo ecumenico
Morozzo della Rocca ha iniziato la sua relazione ricordando le difficoltà dell’attuale dialogo ecumenico tra cattolici e ortodossi: i secondi, che restano legati a un modello ideale antico fondato sullo stretto legame tra Chiesa e Impero o nazione, attribuiscono ancora a Carlomagno la responsabilità di avere spezzato l’unità dell’Impero cristiano creando un secondo impero in Occidente.
Le discutibili posizioni assunte dal patriarca russo Kyrill di fronte all’aggressione russa all’Ucraina si collocano quindi nel quadro di un orientamento teologico-politico di lunga durata: in mancanza di un Impero universale le chiese ortodosse sono strettamente legate allo Stato di cui fanno parte e privilegiano quindi di fatto la dimensione nazionale rispetto a quella universale. La rottura tra il patriarca di Mosca (che non ha partecipato al concilio di Creta del 2016) e quello di Costantinopoli (che ha riconosciuto l’indipendenza della Chiesa ucraina) rende di fatto impossibile la convocazione di un concilio panortodosso che veda di fatto riunite tutte le chiese ortodosse. Un atteggiamento più ecumenico è riscontrabile nell’arcivescovo albanese Anastasio.
Il relatore ha inoltre evidenziato la diversa percezione della storia e della democrazia in Europa occidentale e in Oriente: gli orientali concepiscono la storia non come un progresso lineare ma come una realtà piuttosto ciclica e spesso imprevedibile e gli slavofili hanno sviluppato forme di vita comunitaria in termini diversi rispetto all’individualismo dei Paesi occidentali. Per sviluppare un dialogo fruttuoso e una coesistenza pacifica con questo mondo occorre quindi tener conto di queste diversità profondamente radicate e non pretendere di applicare meccanicamente ovunque i modelli dell’Europa occidentale secolarizzata. Molti ortodossi guardano con ostilità alla globalizzazione in atto in quanto ritengono che essa snaturi le identità nazionali.
Gli uniati, i conflitti, la lingua e la cultura
Le relazioni hanno stimolato una discussione assai ricca e vivace. È stato affrontato il problema degli uniati, i cattolici di rito orientale in comunione con la Chiesa di Roma, diffusi soprattutto nell’attuale Ucraina occidentale (un’area un tempo inglobata nell’Impero asburgico) ed è stato illustrato il superamento di fatto del modello pentarchico operante nel primo millennio (incentrato sulle cinque chiese di Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme ma soprattutto sulla figura dell’imperatore cristiano).
Rispondendo a varie domande Morozzo ha evidenziato la presenza di aspri conflitti all’interno dell’ortodossia, la debolezza politica della Bulgaria e della Romania all’interno della comunità europea e la difficoltà della Chiesa ortodossa rumena, che ha buoni rapporti con la Chiesa cattolica ma non ha il peso necessario per poter mediare tra gli ortodossi russi e quelli greci legati al patriarcato di Costantinopoli.
Garzaniti ha sottolineato il ruolo delle lingue slave, assai mobili, come fattori identitari ed ha osservato che la forte connessione tra lingua, cultura, religione e politica ha generato forti spinte per definire le quattro varianti del serbo-croato (serbo, croato, bosniaco, montenegrino) come lingue autonome, percepite come espressioni di comunità nettamente distinte, mentre la Bulgaria non accetta l’idea di una lingua macedone distinta da quella bulgara, e gli ucraini negano l’autonomia della lingua russina, parlata da minoranze ucraine e slovacche.
Ha poi evidenziato un deficit di cultura nelle classi dirigenti della comunità europea, che dovrebbero affrontare queste sfide con strumenti adeguati senza illudersi che si possa realizzare un puro e semplice allargamento verso est.
L’ingresso dei paesi slavi in europa: opportunità e difficoltà
Questo quadro non sembra incoraggiante, ma è stato osservato che non dobbiamo dimenticare i segni di distensione, come quelli riscontrabili nella repubblica di Macedonia (che ha accettato di definirsi “Macedonia del Nord” per superare l’opposizione della Grecia al suo ingresso nella Comunità europea) e in Slovenia (uno Stato slavo pienamente integrato entrato nella Comunità europea, senza più conflitti con l’Italia), e la separazione pacifica e consensuale tra Repubblica ceca e Slovacchia.
Oggi la guerra in Ucraina e le tensioni tra i Paesi balcanici (in particolare tra Serbia e Kosovo) rendono ancora più urgente una riflessione sulle radici dei conflitti ma anche sulle comuni e diversificate matrici religiose dell’Europa, per favorire la costruzione di una comunità europea più ampia capace di integrare tra loro le differenze.
Se venti anni fa è fallito il tentativo di inserire nel preambolo della Costituzione europea un richiamo alle radici cristiane dell’Europa, forse oggi possiamo elaborare un concetto più inclusivo e aperto di “laicità” per superare le resistenze di Paesi che hanno seguito altri percorsi storici e che non condividono il laicismo militante della Francia e di altri Paesi occidentali.
Dobbiamo arrivare all’appuntamento delle elezioni europee del 2024 con la consapevolezza dei valori in gioco, e riscoprire, al di là delle contrapposizioni politiche, un’eredità culturale ricca ed articolata.
Raffaele Savigni
MEIC di Lucca