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Tangorra, “uomo dedito alla Chiesa”

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Il Professore reverendo don Giovanni Tangorra (Valenzano di Bari 10.1.1955- Roma 25.9.2023) era un uomo dedito alla Chiesa.
Lo era alla maniera dei suoi maestri teologi francesi che aveva conosciuto e frequentato a Parigi da giovane teologo, Congar (alla cui ecclesiologia aveva dedicato la sua tesi di dottorato), Daniélou, De Lubac.
Una dedizione alla Chiesa che conosceva un canale prevalente su tutto e su tutti, quello degli studi: era uomo di Chiesa in quanto studioso e professore di Ecclesiologia all’Università Pontificia Lateranense.

La sua vocazione (e la sua croce) era l’idea di Chiesa del Concilio Vaticano II, di fronte alla quale la realtà della Chiesa non era mai sufficiente, ma mai condannata, perché don Giovanni comprendeva tutti i limiti dell’umanità che anima, fa vivere o limita la Chiesa stessa.
Nella sua prosa elegante e sobria, nel suo eloquio preciso, originale, mai banale, la Chiesa era immancabilmente definita dalla cornice della storia, ma allo stesso tempo conosciuta, riconosciuta e presentata attraverso i fondamentali immanenti e i suoi elementi transeunti.

Nella sua onestà intellettuale, nulla si dava per scontato nel ragionamento, ma gli inutili estremismi erano del tutto trascurati perché privi di interesse. Né un ragionamento rimaneva astratto: ogni elemento teorico veniva misurato alla luce degli effetti possibili sulla realtà della vita della Chiesa.

Uno su tutti i suoi numerosi scritti (apparentemente eccentrico rispetto a tutti gli altri, dedicati prevalentemente al tema della Chiesa e del Concilio) è da essere ricordato per libertà espressiva, per metodo, per capacità di penetrazione storico-filosofica e letteraria: “Credere dopo Auschwitz?” (1996).

In ogni ragionamento, leggendo e ascoltando don Giovanni, si percepiva che alla sua mente e al suo cuore (che viaggiavano di pari passo!) non bastavano storia e filosofia: era la letteratura (francese e russa soprattutto) con le sue immagini creative, semplici o folgoranti, che consegnava la sola risposta possibile, ultima, ulteriore.
Amava i libri, e li odiava perché erano sempre troppi da poter essere letti. Amava le persone, e talvolta le allontanava perché erano sempre per lui troppo coinvolgenti, infatti nessun contatto umano lo lasciava come prima.

Don Giovanni e il suo contributo al Meic

Questa sua curiosità, la sua lucida capacità di penetrazione, la sua intelligenza sono state messe al servizio della Chiesa, lungo praticamente una vita, nell’impegno pastorale, come parroco nella diocesi di Palestrina, nel Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic, ex Movimento laureati di Azione cattolica) come assistente nazionale tra il 2013 e il 2019, all’Istituto Teologico di Anagni, all’Università Lateranense, ma soprattutto nella sua dedizione totalizzante allo studio e alla ricerca delle ragioni, dei punti di vista, delle soluzioni, delle prospettive.

Studiava continuamente, scriveva saggi, preparava conferenze e lezioni, ogni volta come fossero le prime perché il suo scrivere e il suo parlare non prescindevano mai dai suoi ipotetici e reali interlocutori. Ecco perché il cuore e la testa, lo studio e la vita, il prete e l’uomo erano in lui tutt’uno.

Non è più qui in terra con noi ma ci lascia tutto di sé, tutto ciò che era e pensava, o quasi, è scritto, è stato pronunciato, speriamo sia raccolto. Per il bene della Chiesa.

Maria Teresa Gino
Delegata regionale Meic Basilicata

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