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L’attualità del “metodo Camaldoli”

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“Il metodo che più o meno consapevolmente gli intellettuali cattolici elaborarono per formulare il codice di Camaldoli, questo metodo del confronto, della competenza, della consapevolezza della complessità del cambiamento, sono linee guida che rimangono valide ancora adesso” commenta Marta Margotti, storica, dell’Università di Torino e socia Meic, che ha moderato il convegno “Dal Codice alla Carta: i cattolici italiani tra Resistenza, realtà internazionale e impegno costituente (1943-1948)” tenutosi all’interno della Settimana teologica del Meic.

Il tema del “Prendersi cura degli altri”, ha avuto un momento di particolare approfondimento sulla dimensione politica con il convegno che è stato pensato come prosecuzione del convegno di luglio sul “Codice di Camaldoli”, al quale ha partecipato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Per approfondire il contributo dato dai cattolici alla scrittura della Carta Costituzionale, attingendo all’esperienza e ai contenuti del Codice di Camaldoli, ieri mattina a Camaldoli sono intervenuti

  • Leonardo Bianchi (Università di Firenze),
  • Alessandro Santagata (Università di Padova),
  • Paolo Acanfora e
  • Stefano Ceccanti (Università La Sapienza).

Abbiamo chiesto a Marta Margotti se quell’esperienza ha ancora qualcosa da dire ai cattolici di oggi.

Spunti dal Convego storico

“Questo convegno ha messo in rilievo quanto in un momento tragico della storia dell’Italia e del mondo un gruppo di intellettuali cattolici ha avuto la consapevolezza che i tempi erano maturi, era quasi un obbligo di coscienza intervenire per costruire l’Italia del futuro, l’Italia postfascista. Quindi nell’estate 1943, quando una trentina di intellettuali cattolici si ritrovano a Camaldoli, la volontà è quella di proporre una riflessione adatta ai tempi che stavano cambiando.

Gli elementi che emergono all’interno di questa vicenda legata alla pubblicazione poi, nel 1945, del cosiddetto “Codice di Camaldoli”, è la consapevolezza della rapidità del cambiamento in cui era coinvolta l’Italia, e quindi l’urgenza dell’intervento; la presenza di competenze diverse da mettere in campo per rispondere proprio a queste urgenze del momento, competenze di tipo giuridico, economico, sociale e anche teologico; ma anche la ricerca di una sintesi per un confronto con le diverse culture.

Dall’esperienza il “metodo Camaldoli”

Questo “metodo Camaldoli” in qualche misura si ritrovò, con altre dimensioni e con un’altra rilevanza, all’interno della fase Costituente. La consapevolezza del cambiamento, la necessità di competenze e la capacità di fare sintesi per mettere in dialogo cultura e politiche diverse, furono di fatto quell’elemento straordinario, ma efficace, che diede vita alla Carta costituzionale della Repubblica italiana”.

Stiamo parlando di un momento storico che è molto lontano da quello che stiamo vivendo oggi. Cosa può ancora dire quell’esperienza ai cattolici di oggi?

“Il metodo che, più o meno consapevolmente, gli intellettuali cattolici elaborarono per formulare il codice di Camaldoli, questo metodo del confronto, della competenza, della consapevolezza della complessità del cambiamento, sono linee guida che rimangono valide ancora adesso. Ma anche dal punto di vista dei contenuti ha una sua attualità.

Certo è necessario rilevare, come è stato fatto durante il convegno, che alcuni elementi sono stati superati già nel momento della discussione della carta costituzionale, a iniziare dall’assetto dell’istituzione familiare che era su posizioni molto tradizionali, e che già nel dibattito costituzionale furono sostituite da una visione più paritaria del ruolo della donna. C’erano elementi che sono immediatamente apparsi superati dalla realtà dei fatti, e altri elementi che invece confluirono nella carta costituzionale”.

Può farci un esempio?

“Elementi propri della cultura politica degli intellettuali cattolici. In particolare la visione dei rapporti economico e sociali. Si era, di fatto, all’interno di quel momento di passaggio in cui un gruppo di cattolici, nell’autonomia della propria coscienza, della propria intelligenza e della propria responsabilità, si posero in una situazione di superamento del tradizionale corporativismo, del corporativismo fascista ma anche del corporativismo che ancora predominava all’interno della dottrina sociale cattolica.

L’attualità della visione economico sociale del “Codice Camaldoli”

Questo gruppo di intellettuali si poneva in una visione di costruzione di una società che rifiutava la struttura e gli elementi del comunismo ma, insieme a questo, rifiutava quelle che erano le posizioni del liberalismo capitalista. In questa situazione la proposta era una “quarta via”: non il corporativismo, non il comunismo collettivista, non il liberalismo capitalista ma un’economia dove la libertà di impresa doveva essere tutelata ma allo stesso tempo veniva messo in rilievo il valore sociale della proprietà privata.

Da questo punto di vista, concretamente, la creazione di istituzioni che realizzassero l’intervento pubblico, e quindi dello Stato, nell’economia prospettava un modello che risentiva delle elaborazioni emerse nel periodo del New Deal come risposta alla crisi del 1929 soprattutto in ambiente anglosassone.

Questa esperienza venne in qualche misura tradotta all’interno di categorie che prospettavano un modo di organizzare la società e la vita economica che si riteneva in grado di garantire da una parte la libertà dei singoli e delle organizzazioni sociali e dall’altra però garantire la giustizia, soprattutto della povera gente, come la Pira ricordava. Questo credo sia un elemento di evidentemente difficile realizzazione ma che rimane comunque un orizzonte verso cui è necessario dirigerci”.

Un “metodo Camaldoli” anche nei rapporti laicato – gerarchia ecclesiastica

Come metodo possiamo anche sottolineare un modo di essere cattolici di questi laici, che erano giovani meno giovani, molti erano appena laureati, quindi un dialogo tra generazioni ma anche un dialogo all’interno del mondo ecclesiale e una loro autonomia?

”La seconda guerra mondiale e poi la tragica esperienza della guerra civile della resistenza, mise in evidenza degli elementi che già erano emersi all’interno delle discussioni di Camaldoli del luglio del 1943. Vale a dire che nelle scelte di tipo politico economico sociale, vi era un’autonomia del credente che doveva agire sotto la propria responsabilità, anche dissentendo da quelle che erano le direttive del gerarchie ecclesiastiche.

Questo elemento di autonomia fondata sulla formazione delle competenze da una parte, ma anche di una coscienza, che per questi credenti era una coscienza formata cristiana, era un elemento che restituiva da una parte protagonismo, potremmo dire soggettività a questi laici ma d’altra parte e restituiva anche libertà alla Chiesa perché impediva che fossero attribuite all’istituzione ecclesiastica delle scelte che invece venivano prese nella libertà della elaborazione intellettuale e poi di realizzazione concreta, dei credenti.

Anche da questo punto di vista il coraggio della responsabilità e la capacità di usare la libertà che è propria di ogni credente, in particolare per quanto riguarda la dimensione politica, è un elemento troppo spesso e dimenticato ma che alla fine toglie non soltanto libertà alla chiesa, ma toglie anche possibilità di libertà e Giustizia alla società intera”.

Ascolta l’audio dell’intervista a Marta Margotti