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Aci – Fuci – Meic. Laici per una Chiesa post-conciliare e sinodale

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Un opuscolo di appena 40 pagine. Agile, allo stesso tempo profondo, diretto, e soprattutto leggibile, anche dai più giovani.

È quanto Azione cattolica, Fuci e Meic hanno cercato di fare con Formazione, conversione e missione. Laici impegnati per una Chiesa post-conciliare e sinodale, un sussidio che si colloca come ulteriore contributo di riflessione a margine dell’anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962, leggi qui). Il contributo a più voci è l’occasione anche per rileggere i cambiamenti vissuti nella vita associativa, nei decenni successivi al Concilio.

Vuole inoltre sollecitare un’ulteriore riflessione su quanto a oggi rimane ancora da fare per continuare a mettere in pratica le intuizioni maturate all’interno di questa esperienza così significativa per il cammino ecclesiale.

Segni nel presente, semi di futuro

Nella Costituzione pastorale sulla Chiesa e sul mondo contemporaneo Gaudium et spes, spiega Clara Pomoni, condirettrice di Ricerca e responsabile della comunicazione della Fuci, si dice che la Chiesa è chiamata a essere nel mondo «al fine d’instaurare quella fraternità universale» che corrisponde alla somma vocazione dell’uomo.

Ecco perché, con l’occasione dei sessant’anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, con Ac, Fuci e Meic «abbiamo scelto di avviare una riflessione congiunta. Vogliamo partire dal guardare alle nostre attività e ai nostri gruppi per rendere sempre più coerente il nostro stile con il magistero conciliare e proporre delle provocazioni per un rinnovato slancio d’impegno condiviso per la Chiesa tutta, in pieno spirito di partecipazione al percorso sinodale in atto.

A noi uomini e donne a volte disorientati il Vangelo prova a ricordare che siamo chiamati a solcare il mare aperto con coraggio, a stare nelle burrasche della società che abitiamo raccontando con il sorriso la bellezza della vita vissuta da Dio. Per attrezzarci per solcare strade nuove dobbiamo partire dal rinnovare il nostro pensiero, il nostro sguardo, il nostro cuore: alzare gli occhi da noi stessi per incontrare quelli di chi ci passa accanto, permeare le nostre comunicazioni con l’orizzonte di una speranza che supera le difficoltà attuali».

Cammini di conversione per i laici

Su Concilio e Sinodo ha proposto una lettura Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale di Ac (Cammini di conversione, intervista a Giuseppe Notarstefano e Clara Pomoni a cura di Stefano Pignataro): «se da un lato abbiamo una partecipazione al Sinodo dei vescovi che ha una prospettiva universale, una dinamica di coinvolgimento che prevede un ascolto dal basso e che mette a tema la Sinodalità come postura essenziale del cammino della Chiesa, dall’altro tutto ciò si intreccia con il cammino voluto dallo stesso papa Francesco quando, al convegno di Firenze, ha chiesto a tutti di mettersia servizio nella Chiesa italiana secondo quella conversione pastorale che aveva descritto in quel potentissimo strumento che è Evangelii gaudium, debitore di Evangelii nuntiandi e che qualcuno ha definito una specie di “software di installazione” del Concilio».

Il Concilio ha significato proprio questo, una Chiesa che si è messa in cammino guardando con cordialità al tempo che stiamo vivendo. Un Concilio che non “evadesse” i problemi della modernità. «Non è solamente un problema di elaborazione teorica, ma ancor di più di accompagnamento e di cura».

I giovani protagonisti

Una riflessione dedicata espressamente ai giovani è quella proposta da Alice Bianchi, consigliera per il settore Giovani di Ac, dottoranda in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma e saggista (Ac, storia di giovani, cioè di cambiamenti).

La storia dell’Ac, in fondo, insegna questo. L’esperienza di una Chiesa-popolo, in Ac, è soprattutto “storia di giovani”: iniziando dal «22enne Mario Fani che, nel 1867, che fondò la Società della Gioventù cattolica italiana a partire dalle messe partecipate “in corpo organico” (cioè non da soli);  passando per la storia della 35enne Armida Barelli e del carisma popolare con cui, nel 1918, avviò la Gioventù Femminile, sottraendo le donne di Ac all’elitarismo; per finire alla storia di un 33enne Vittorio Bachelet che, alle soglie del Concilio, nel 1959, fu vicepresidente centrale di Agostino Maltarello insieme a Carmela Rossi. Una nomina lungimirante, con cui Giovanni XXIII benedisse il cammino di Ac verso l’unitarietà».

Adulti che continuano a crescere

Una sosta dedicata al mondo adulto lo compie Paolo Seghedoni, giornalista e vicepresidente del settore Adulti di Azione cattolica, con Adulti che continuano a crescere. Le scelte del Settore di questi anni, anni caratterizzati da una parte dalle difficoltà vissute e, dall’altro, da una grande voglia di partecipazione (che dopo lo stop imposto dalla pandemia da Covid-19 sta emergendo in modo evidente e per certi versi sorprendente), infatti, sono scelte evidentemente nel solco del Concilio, un Concilio vissuto sulla scorta del ricchissimo magistero di papa Francesco.

«Pensiamo a una scelta particolarmente importante e decisiva per la vita del Settore adulti come quella della dinamica formativa elaborata dal Settore, che sarebbe riduttivo definire un metodo. La dinamica vita-Parola-vita (dalla vita alla Parola e dalla Parola alla vita in un dinamismo virtuoso e generativo) è frutto di una Chiesa e di una associazione conciliare e viene aggiornato attraverso un lavoro di discernimento realizzato sia a livello locale, sia da parte del Centro nazionale». 

E poi il tema relativo al dialogo con il mondo: da una sempre migliore comprensione e consapevolezza della scelta religiosa, le proposte formative e le attività del settore hanno fatto crescere gli adulti dell’associazione in quest’ottica.

La stessa partecipazione, «parola che si inserisce a pieno titolo nella Chiesa post-conciliare, rappresenta una nota peculiare riscoperta soprattutto in questo tempo caratterizzato dallo stop imposto dalla pandemia e da una fase successiva, in cui siamo pienamente immersi, di ripresa». 

Laici. Tra rinnovamento e memoria

A sessant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II è necessario provare a tracciare un bilancio della ricezione e della realizzazione delle istanze conciliari e a ragionare su quali prospettive di lavoro richiedono invece ancora un impegno per attuarle.

«Il Concilio non ha rappresentato una cesura netta nella storia della Chiesa. Alcune delle istanze di rinnovamento che trovarono in Italia una più rapida applicazione erano state in parte anticipate dalle riflessioni di personaggi come don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, o da realtà e movimenti come la stessa Fuci e l’Azione cattolica.

Altri aspetti dell’esperienza conciliare non furono altrettanto dirompenti e richiesero un percorso più lungo di applicazione, non del tutto compiuto».

Lo scrive Allegra Tonnarini, Presidente nazionale femminile della Fuci, in A sessant’anni dall’esperienza conciliare.

La responsabilità e l’apostolato laicale, in primo luogo. I laici nell’impegno e nelle attività della vita, nelle fatiche e nelle azioni di bene, nelle occupazioni quotidiane sono infatti chiamati a produrre frutti dello spirito, a consacrare a Dio il mondo stesso. 

«Oggi come il ruolo del laico ha la possibilità di declinarsi nelle realtà ecclesiali, locali e non? Le parrocchie riescono a coinvolgere pienamente i laici? Una sfida importante è proprio quella di rivedere le priorità e le agende delle attività parrocchiali e diocesane: mettere al centro la formazione comunitaria e personale, aprirsi alla città e al territorio circostante, valorizzare il servizio e le competenze di tutte le persone che condividono una responsabilità e una vocazione laicale».

Chiudono l’opuscolo l’intervista a Marco Ivaldo, professore ordinario di Filosofia morale e di Filosofia pratica presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e già presidente maschile della Fuci (1970-1972) e Thierry Bonaventura, responsabile comunicazione Sinodo universale dei vescovi e già condirettore di Ricerca (1996-1998) – Tra rinnovamento e memoria – e la riflessione di Guido Campanini, vice presidente del Meic, Continuità, discontinuità e sinodalità. Il Meic e il Concilio Vaticano II: a sessant’anni di distanza.

Su tutto, il desiderio di «ritrovare nel passato la presenza, magari nascosta, di forme e modalità di vivere la fede, il culto, la stessa forma di Chiesa, modi e forme che sono poi venute alla luce nel Concilio e, grazie al Concilio, anche dopo il Concilio».