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La provocazione di don Spriano. Le carceri? Meglio chiuderle

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Carceri. La prima giornata del convegno Meic si è aperta con l’esperienza di chi il carcere lo conosce bene con tutto il suo carico di umanità.

L’ha portata don Sandro Spriano, cappellano, con altri sacerdoti 7, dei quattro istituti di pena di Rebibbia in cui ci sono circa 2300 persone detenute (nei tre istituti maschili, nella casa circondariale per l’accoglienza di un piccolo gruppo di ragazzi tossicodipendenti con una custodia attenuata e dei detenuti semi liberi, e nell’istituto femminile che è il più numeroso d’Europa con più di 350 donne e in questo momento solo due bambini).

Don Sandro ha portato la sua esperienza al convegno nazionale del Meic “‘E liberaci dal male’ Percorsi di giustizia e di riparazione in questo tempo” in svolgimento a Roma fino a domenica 24 marzo. 

Carceri. Spesso i carcerati non sanno neppure cos’è la “giustizia riparativa”

In questo convegno si affronta il tema della giustizia riparativa. Si può dire che si può passare ad un livello di riparazione del male compiuto?

“L’esperienza mi dice che con questo tipo di carcere non si passa da nessuna parte. La mediazione penale, la riparativa, può riguardare qualcuno che ha fatto un reato grave con delle vittime con nome e cognome e magari lì si può fare un percorso di riconciliazione, diciamo, come facevano nei Tribunali del Sudafrica. Per il resto il carcere non consente alla persone che stanno lì di pensare ad un percorso di riparazione perché nessuno li aiuta in questo. E la persona detenuta, specialmente oggi che l’80% sono poveri ed emarginati, dice ‘che vol dì giustizia riparativa?’. È molto difficile!”.

Dal volontariato un contributo fondamentale

Come si possono attivare percorsi simili? Istituzionalmente non c’è molto, si conta molto sul volontariato.  “Sicuramente – commenta don sandro – più persone ci sono che fanno volontariato e più questi accompagnamenti interpersonali producono anche dei piccoli percorsi in cui uno sente di dover interessarsi al suo reato e quindi da lì può cominciare un percorso. Perché normalmente il carcere ti fa dimenticare il reato, perché è tale lo sforzo di sopravvivere alla vita del carcere che si pensa solo quello. C’è una inflizione di sofferenza esagerata che non produce più né un rimorso né una capacità di dire ‘io devo pagare per quello che ho fatto perché lo pago con il carcere e se lo Stato è soddisfatto sono soddisfatto anch’io’”.

La dignità ritrovata nel lavoro… ma si fa troppo poco

I percorsi formativi, di accompagnamento e di inserimento lavorativo riconoscono dignità al detenuto, ma ce ne sono a sufficienza?

La questione della dignità del detenuto è centrale e don Sandro nel suo intervento ha parlato di questo e della giustizia nel confronto con il Vangelo. O meglio, come dice don Sandro, “di questa ingiustizia somma” che è il carcere. “Il problema grosso – aggiunge don Sandro – è che non ci sono questi percorsi. Non c’è una prospettiva di speranza se non se ne fanno carico il volontariato e i Cappellani e qualche direttore e educatore illuminato, che ha voglia di metterci del suo, non di fare lavoro d’ufficio. In carcere si fanno carte carte carte, invece in carcere sono persone persone persone”.

Nel suo intervento don Sandro ha infine proposto l’abolizione del carcere perché così come è non porta maggiore sicurezza nella società. Se non ci sono percorsi lavorativi e di accompagnamento si torna a delinquere mentre più del 70% di chi lavora non torna a delinquere.

Anche a Rebibbia grazie a don Sandro dal 2000 c’è una cooperativa dove oggi lavorano 28 detenuti col Cup del Bambin Gesù.

“La gente telefona per gli ambulatori, ma non sa che risponde un detenuto” racconta don Sandro. Per coloro che lavorano c’è una prospettiva di speranza perché c’è uno stipendio, c’è una possibilità. Vanno accompagnati a tutti comunque, come ciascuno di noi in fondo”.

Ascolta l’intervista a don Spriano