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Manovra: conta il messaggio o il contenuto?

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Pubblichiamo di seguito l’articolo che Renato Balduzzi, direttore di “Coscienza”, già presidente nazionale del Meic, ha scritto per il n. 53 di “Adista Segni nuovi”, disponibile anche sul sito dell’agenzia.

Manovra: conta il messaggio o il contenuto?

di Renato Balduzzi

Le manovre economico-finanziarie non incontrano mai, in genere, il consenso di tutti. Ma la manovra contenuta nel decreto-legge n. 78 del 31 maggio scorso mi sembra particolarmente problematica e sarebbe buona cosa se ognuno rinunciasse al proprio orgoglio e la discussione parlamentare, senza forzature, riuscisse a migliorarla. Vediamo perché.

La ragione principale sta nella contraddizione tra il contenuto della manovra e il messaggio che contestualmente viene trasmesso agli italiani. Faccio tre esempi.

1) È certo buona cosa che, invertendo la direzione intrapresa con lo scudo fiscale (un premio all’evasione), la manovra contenga incentivi ai comuni per la lotta all’evasione e per un maggior impegno nell’accertamento. Ma occorre che, contestualmente, lo stesso messaggio positivo nei confronti del fisco e del significato solidaristico della tassazione provenga dalle persone che ricoprono gli incarichi al vertice dell’esecutivo. Così non è. Qui il contenuto è buono, il messaggio no.

2) Il decreto-legge prosegue nella politica dei cosiddetti tagli “lineari”, caratterizzati dalla fissazione di percentuali rigide e uniformi di riduzioni di spesa. Così si toglie in pari misura a chi produce e a chi sperpera. Si finisce per premiare le inefficienze e penalizzare i comportamenti virtuosi. A fronte di ciò il messaggio invece insiste (talvolta anche in modo demagogico) su merito, performance, responsabilizzazione. Qui il messaggio è, almeno in parte, buono; il contenuto no.

3) La manovra taglia i bilanci regionali in modo secco, sino all’azzeramento della parte di spesa regionale non vincolata. Il messaggio ossessivo di questi anni è però il cosiddetto federalismo, che dovrebbe soprattutto responsabilizzare i territori. Cosa impossibile se viene meno la possibilità materiale di una politica di bilancio. Qui, ancora una volta, c’è dissociazione tra messaggio e contenuto: il primo potrebbe essere accettabile (ove chiarito e riportato al suo significato etimologico); il secondo è da evitare.

Se messaggio e contenuto non si incontrano, il risultato è che invece di concorrere quanti più cittadini possibile a uno sforzo comune, si continuerà a ritenere che le imposte le deve pagare il vicino, che impegnarsi o lasciarsi andare è la stessa cosa, che federalismo significhi egoismo di singoli, gruppi, territori e non un patto comune di crescita e sviluppo. Se poi a tutto questo aggiungiamo il diversivo della discussione sull’art. 41 della Costituzione (ritenuto, senza alcun fondamento, responsabile delle inefficienze e dei ritardi italiani: ma un maggior controllo pubblico sull’economia non è la lezione che ci è venuta dalla crisi mondiale?), è difficile non pensar male: che dietro all’esaltazione della libertà e della concorrenza vi siano soltanto gli appalti in deroga, le cricche e le furbizie di pochi. E la solidarietà muore, come parola e come pratica.

Una battuta sul metodo. Un decreto-legge zeppo di norme e normette non è il miglior veicolo di una “manovra”. La legislazione troppo abbondante e caotica favorisce i soliti furbi e produce inefficienze. Anche su questo bisognerebbe meditare.

“Più legge, meno leggi”, scrivevano i vescovi italiani quasi vent’anni fa in un felice documento dal titolo Educare alla legalità: la sua ripresa e aggiornamento potrebbe essere una bella traccia per la politica di oggi, perché diventi capace di rimettere insieme messaggi buoni e contenuti adeguati.