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Giustizia. C’è se siamo “pari”. Non “uguali”

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“Il fondamento della giustizia non è nell’uguaglianza ma nella parità”. È la prospettiva portata da Bruno Montanari, professore di Filosofia del diritto, al convegno nazionale Meic  “‘E liberaci dal male’ Percorsi di giustizia e di riparazione in questo tempo” in svolgimento a Roma fino a domenica 26 marzo. 

Montanari ha svolto un intervento sul tema del legame tra dialogo e giustizia, portando l’attenzione sulla differenza tra il concetto di ugualianza e di parità.

Il fondamento della giustizia è nella parità

“Il fondamento della giustizia non è nei valori, – ha detto Montanari – perché quello dei valori è un terreno molto scivoloso nel senso che ci sono vari tipi di giustizia nella storia: giustizia legale, giustizia rivoluzionaria, giustizia politica, giustizia naturale ecc. Dunque perché la giustizia possa fondarsi su di elemento stabile e non discutibile si assume il fatto che l’uomo è un ente finito ed essendo un ente finito, e non è discutibile che lo sia, tutti gli uomini sono pari, non uguali”.

Per questo, ha aggiunto, “anche il rapporto giustizia – eguaglianza è un rapporto che può essere messo in discussione” e dunque questo è il nuovo termine della questione: “non uguaglianza ma parità poiché essendo gli uomini tutti ‘enti finiti’, siamo tutti esistenzialmente pari”.

Parità ovvero fraternità cristiana

In questo sta anche “il concetto di fraternità cristiana”. Perché siamo ‘pari’ e quindi fratelli? Perché, ha spiegato Montanari, “il ‘principio’ è fuori dell’esistenza. Quindi è un concetto non solo laico, perché il discorso è ontologico e quindi laico, ma è un concetto che è stato perfettamente recepito dall’antropologia cristiana perché implica il ‘principio’ fuori dell’uomo, che poi lo possiamo chiamare Dio o come vogliamo. Però l’importante è che il ‘principio’ è fuori dell’uomo, ‘logicamente’ fuori”.

Questo comporta, ha aggiunto, che “se siamo pari la relazione fondamentale è quella io-tu dove ogni ‘io’ è un ‘tu’ per l’‘io’ dell’altro. Questa è la parità: che ogni soggetto contiene in sé l’‘io’ e il ‘tu’. Non solo ma anche il concetto di uguaglianza / differenza va rivisto perché non siamo tutti uguali. Naturalmente non siamo uguali per tante ragioni, lo sappiamo. Ma essendo pari siamo tutti legati dalla medesima dimensione esistenziale non discutibile. Questo comporta che la differenza non va integrata nel senso di assimilazione, ma va riconosciuta e rispettata proprio perché differenza”.

Nella cultura contemporanea, ha sottolineato il filosofo, “tendiamo ad annullare la differenza ma già cercare di essere tutti uguali, come si dice, è una violazione del principio di identità perché l’identità si fonda proprio sul riconoscimento della differenza. E la prima differenza è quella che abbiamo dentro noi stessi: l’‘io’ e il ‘me’. Quindi questo demonizzare la differenza e scapparne è molto grave perché viola proprio la dimensione fondamentale dell’esistenza. Allora se esiste l’altro come un legame col mio stesso io, in più questo altro va riconosciuto proprio perché è differente, qual è il modo per entrare in relazione e non in interazione? Perché l’interazione è un io-io mentre la relazione è un io-tu / tu-io”.

Il dialogo base della giustizia

Quindi qual è il modo di pensare la giustizia? È il dialogo. “Se noi scomponiamo la parola greca dià-logos, il logos non è soltanto uno scorrere di parole, ma è il messaggio del riconoscerti e dell’essere riconosciuto io da te. Quindi il rapporto tra dialogo e giustizia è strettamente legato alla dinamica dell’esistenza umana, di esseri come enti finiti”.

Per fare un esempio tratto dal diritto ha citato l’articolo 3 della Costituzione che è ispirato, ha detto, “non da questi principi ‘filosofici’ che poi sono antropologici ma, laddove parla della rimozione degli ostacoli, un ostacolo è anche il problema della necessaria assimilazione del ‘tu’ a ‘me’, e questo è grave. Noi dobbiamo invece riconoscere che siamo differenti e che l’essere differenti non è un male”.

Ascolta l’intervento