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“Continuiamo a ricordarci che siamo una comunità”

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Il Consiglio permanente della Cei ha indirizzato un messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia. Simona Borello, comunicatrice e socia Meic, lo ha commentato per il Sir: “Siamo chiamati ad essere testimoni di speranza in questi mesi di infodemia”

M. Michela Nicolais
Agenzia SIR (24/11/2020)

“Sono contenta in modo particolare per lo stile: è il modo di parlare di una Chiesa materna che sente il dolore dei suoi figli, ne fa parte e se ne fa carico”. Simona Borello, esperta di comunicazione, commenta così il messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia, inviato dal Consiglio episcopale permanente della Cei. “Da operatrice della comunicazione – prosegue – mi colpisce il compito che viene a noi affidato di essere testimoni di speranza: in questi mesi di infodemia, di ansie, di cattive notizie, di chi vuole negare la realtà con atti violenti, più che di una contestazione puntuale abbiamo bisogno di riscoprire la bellezza che possono ispirare le parole. È facile arrendersi alle cose negative, molto più difficile è curare e far risaltare il valore della bellezza”.

Tempo di pandemia come tempo di tribolazione ma anche di preghiera, sottolineano i vescovi. Quanto può aiutare la Bibbia?

Il testo del messaggio è pieno di riferimenti biblici. La Bibbia, infatti, può essere uno strumento di preghiera anche per chi non si sente – per età, per i bambini piccoli – di andare a messa, anche se le celebrazioni eucaristiche si svolgono in piena sicurezza e nel rispetto delle norme anti Covid. Usare così tanto la Scrittura è sicuramente un aiuto per testimoniare che abbiamo anche in casa un modo di pregare stando accanto alla nostra comunità.

Le famiglie, e in modo particolare gli anziani e le donne, sono le più colpite alla pandemia. I vescovi lanciano un preciso appello ad incrementare l’azione di sostegno: cosa si può fare di più, e con quali azioni concrete?

C’è la Caritas, che opera in sicurezza, e ci sono le parrocchie che sono impegnate in prima linea per andare incontro ai bisogni e alle necessità più urgenti delle famiglie in difficoltà a causa dell’emergenza sanitaria in atto.Quello che si può fare di più è continuare a ricordarci che siamo una comunità: ci sono le distanze da rispettare, i nostri anziani e i nostri cari da proteggere, ma non bisogna mai dimenticare che la Chiesa ha una natura profondamente comunitaria. Altrimenti, a furia di isolarci per proteggerci – compito naturalmente doveroso in questo tempo di pandemia – finiremo per non volercene più occupare.

Nella comunità cristiana, l’omaggio dei vescovi, c’è molta creatività pastorale nell’affrontare l’emergenza sanitaria: ci può raccontare qualche esperienza personale?

Qui a Torino, con il Meic, abbiamo continuato il gruppo biblico a distanza. Tramite la piattaforma Meet, abbiamo portato avanti la lettura continua della Bibbia, e la sorpresa è stata che le adesioni sono perfino aumentate: chi, infatti, prima non poteva più frequentare di persona per vari motivi, ora ha ripreso a frequentare proprio grazie alla modalità on line. Ci si organizza e ci si si divide prima, perché non si sovrappongano le voci. Con l’Ufficio catechistico diocesano, inoltre, abbiamo portato avanti gli incontro di formazione per gli educatori via streaming, e le persone si sono sentite toccate, coinvolte, ancora una volta insieme. Nel messaggio del Consiglio episcopale permanente si fa riferimento a questi strumenti e si sottolinea la creatività locale: è bello che ogni diocesi risponda agli input forniti dalla Cei, a livello nazionale, con la “fantasia della carità”, come la chiama il Papa, sul proprio territorio.

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