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L’umanità, la nostra vera cattedrale

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di BEPPE ELIA

L’incendio che ha devastato la cattedrale di Notre Dame ha dolorosamente colpito non solo i cristiani, che hanno visto ferito un luogo della loro fede, ma tutta la comunità umana, che ha colto in questo drammatico avvenimento il segno di una perdita; perché anche chi professa altre religioni o, come ad esempio larga parte del popolo francese, non si riconosce in alcuna religione, ha percepito che è stato intaccato un bene che appartiene alla storia della Francia e dell’Europa, un pezzo di quelle radici che l’hanno alimentata culturalmente e socialmente.

La comunità umana, al di là di ogni nazione, credo religioso, sentimento politico, si è unita per condividere l’impegno di ricostruzione, anche attraverso gesti di solidarietà molto concreti.

Mi sono domandato allora per quale ragione, di fronte ad un evento drammatico che riguarda un edificio religioso, pur molto importante, si manifesti questa unità di intenti e questo spirito di amicizia, quando invece drammi che riguardano l’esistenza di tanti uomini e donne (la povertà, la guerra, i disastri ambientali, la malattia, le migrazioni…) generino forme di indifferenza proprio là dove vi sono situazioni di maggior benessere e sicurezza. Mi sono detto che probabilmente un fatto singolo, dal forte valore simbolico, suscita emozioni anche profonde e il desiderio di una generosa risposta collettiva, mentre invece quando si devono affrontare situazioni ordinarie di fragilità umana e sociale, il cuore si fa più arido e la mente disegna scenari di paura e di chiusura.

Ma c’è qualcosa in più che produce questa differente risposta. L’incendio di una cattedrale si accompagna con il desiderio della sua ricostruzione: è solo una questione di tempo e di soldi, ma questo non cambia la nostra vita. Prendersi cura dei fratelli e delle sorelle che hanno bisogno di essere risollevati dalla loro condizione di sofferenza, esige invece un impegno continuo e senza termine (“i poveri li avrete sempre con voi”), la rinuncia a qualcosa che possediamo, uno stile di vita più semplice e più attento al mondo intorno a noi, il coraggio di confrontarsi con problemi nuovi e complicati, uno spirito di fraternità e di mitezza, la capacità di costruire e sperimentare forme nuove di lavoro e di inclusione sociale.

Sarebbe bene riflettere sulle parole di Gesù alla samaritana: “Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre… Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”

Celebrare il Signore morto e risorto è ricordare che egli è venuto a liberare ogni uomo e donna, e lo fa anche attraverso noi che abbiamo creduto alla sua Parola. I templi in muratura sono provvisori, ciò che conta è una umanità che non smarrisca se stessa.

Buona Pasqua di Risurrezione.