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“A che serve la bellezza? A farci rimanere umani”

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“La bellezza è il più potente antidoto alla banalità, che è forse il vero male del nostro tempo. In una società nella quale prevalgono sempre di più logiche di possesso e di dominio, la bellezza può aiutarci a riscoprire la dimensione dell’amicizia, del tornare a riconoscerci reciprocamente al di là di ogni utilitarismo”. Per il presidente del Meic Beppe Elia “Matera Beauty Experience”, con il suo seminario “Crescere con la bellezza”, è stata un’occasione importante per rimettere al centro dell’impegno del Movimento questo elemento fondamentale della testimonianza cristiana: “Il Meic, attraverso i suoi gruppi sul territorio, fa proprio questo: offrire alle persone occasioni di incontro con la bellezza che è radice e generatrice di umanità”.

Sono stati oltre cento gli intervenuti a Matera, grazie al lavoro significativo della delegata regionale della Basilicata Maria Teresa Gino e dei gruppi Meic della città dei Sassi e di Potenza. Per rendere ancora più suggestivo lo scenario della Capitale europea della cultura 2019 ai partecipanti sono stati offerti i contributi artistici dell’Accademia Ducale Centro Studi Musicali e quelli degli studenti dell’Istituto Comprensivo di Brienza e Sasso di Castalda.

Ad aprire la riflessione è stato il vescovo Josè Tolentino de Mendonça, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, che alla domanda “Che cos’è la bellezza?” ha risposto così: “La bellezza obbliga a chiederci quali sono i nostri desideri, e non solo i nostri bisogni. La società consumistica, con le sue finzioni e le sue vertigini, promette di soddisfare tutto e tutti ma confonde la felicità con la sazietà: finiamo per ritrovarci pieni, satolli e addomesticati. La bellezza libera il desiderio dalla prigione in cui il consumo la rinchiude con il suo impulso alla soddisfazione immediata. Fuori da questa gabbia riscopriamo che la bellezza non serve a niente se non a farci continuare a essere umani”. Tolentino ha ricordato che “Papa Francesco ne ha parlato come della ‘via maestra per accedere alla fede più di tante parole e idee, perché con la fede condivide il medesimo pensiero’. Senza la bellezza attraente di Cristo il cristianesimo rimane asciutto, ritualista, burocratico. Dobbiamo superare il silenzio a cui una certa stagione razionalista, anche all’interno della teologia e della spiritualità cristiana, ha votato la bellezza. Contro il mondo addomesticato dai discorsi, serve un’esperienza teologica che unisca l’invisibile e il visibile”.

E di bellezza come esperienza, come “azione”, ha parlato anche don Gianluca Bellusci, direttore dell’Istituto Teologico di Basilicata: “La bellezza dell’agire di Dio si manifesta nella testimonianza evangelica dei credenti e soprattutto dei santi. Essa è performativa, armonica e contagiosa: performativa perché opera, crea, rinnova e genera alla fede; armonica in quanto conduce a unità fede e vita, contemplazione e azione; infine è contagiosa perché coinvolge e affascina. Dall’Evangelii Nuntiandi di Paolo VI all’Evangelii Gaudium di papa Francesco la categoria della testimonianza riacquista sempre di più e si alimenta di una riflessione teologica e pastorale: non è semplice pragmatismo, affannarsi a fare delle cose, ma è ‘via pulchritunis’ alla fede, speranza e carità”.

Ma la dimensione della bellezza non può rimanere confinata solo in una dimensione spirituale: è un elemento fondante anche della realtà sociale. Persino dell’economia, ha spiegato il professor Luigino Bruni: “L’economia è anche un luogo di bellezza perché è un luogo di vita, e la vita è l’unico luogo in cui la bellezza può accadere. Ecco perché se qualcuno oggi mi dicesse di mostrargli qualcosa di bello lo porterei in un’impresa. La bellezza del lavoro sta nell’azione collettiva, nella capacità di creare, di risolvere problemi, insomma di generare qualcosa insieme agli altri. È una dimensione che va oltre il reddito, perché implica il dono: uno stipendio paga le ore di impegno, paga le competenze, le azioni, ma non può ‘comprare’ l’entusiasmo, la passione, la soddisfazione, la realizzazione personale”. Per l’economista della Lumsa, però, “il problema è che oggi questa bellezza non è evidente perché invece che di lavoro si parla solo di consumi, di finanza, di soldi. È urgente tirare fuori il mondo del lavoro dalla sua invisibilità, e poi parlarne bene: abbandonare il cinismo che caratterizza anche il dibattito italiano e che guarda solo al reddito e ricordarci che prima di tutto il lavoro è un luogo meraviglioso di espressione dell’umanità. Insomma, il lavoro bisogna ‘bene-dirlo’”.

Il convegno si è concluso con la testimonianza preziosa di una “operatrice della bellezza”, la direttrice Parco archeologico del Colosseo Alfonsina Russo. Per l’archeologa “i luoghi della cultura non possono soltanto tutelare e conservare la bellezza: devono essere spazi accessibili, partecipativi e inclusivi. Quello che stiamo facendo al Parco del Colosseo va in questa direzione: apriamo le porte non solo al turismo mordi e fuggi – ogni anno al Colosseo arrivano quasi otto milioni di visitatori – ma coinvolgiamo i romani, progettiamo percorsi con le associazioni, mettiamo al centro le persone”. La direttrice ha raccontato dei progetti in corso: “C’è ‘Il Parco fuori dal Parco’ per arrivare nelle periferie della città o ‘Park in Parco’ grazie al quale i Fori diventano luogo di terapia per i malati di Parkinson. La nostra missione, come ha sottolineato anche papa Francesco, è quella di custodire la bellezza ma soprattutto di trasmetterla, in particolare a chi vive nella fragilità e nel disagio sociale. Sono le persone che fanno più fatica a incontrare la bellezza ma che ne hanno più bisogno”.