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Zuppi. Giustizia riparativa: serve un impegno culturale ampio

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“La giustizia se non è riparativa è giustizialismo”. Lo ha detto il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, presidente della Conferenza episcopale italiana, partecipando al convegno nazionale Meic  “‘E liberaci dal male’ Percorsi di giustizia e di riparazione in questo tempo” che si è concluso questa mattina domenica 26 marzo, a Roma. Il Cardinale ha portato la sua riflessione ed esperienza sul tema, dopo aver celebrato l’eucarestia per i partecipanti al convegno, ai quali si sono uniti i giovani della presidenza della Fuci, presso la cappella di “Casa La Salle” dove si sono svolti i lavori.

La giustizia dovrebbe essere tutta “riparativa”

Il giustizialismo “non va bene perché non c’è giustizia” così come non si fa giustizia se c’è “troppa indulgenza”. Dall’intervento del Cardinale è emerso l’invito ad un approccio equilibrato perché “la giustizia – ha detto Zuppi – è tutta riparativa perché tende a lasciare una finestra per il futuro e deve credere che questo sia possibile”. Non è invece un approccio positivo né utile alla società l’idea che però è molto diffusa, del “‘buttare la chiave’ e lasciare che le carceri siano solo contenitori” a cui non pensare.

Necessario un forte impegno culturale

Il Cardinale ha anche sottolineato l’importanza dell’impegno per una cultura diffusa, nella quale ci sia attenzione alle persone che hanno compiuto reati e per questi scontano la loro pena. E rivolgendosi al Meic che ha nel suo nome proprio l’impegno culturale, ha invitato a “fare cultura” nel senso proprio del termine, assumendosi “un impegno da cristiani, di difendere le persone, illuminare con la fede cristiana questo tema e fare cultura per davvero” perché è necessario il coinvolgimento anche dell’ambiente esterno, del territorio in cui sono gli istituti di pena.

E questo perché il sistema carcerario italiano è fatto di realtà diverse, e le realtà positive, quelle in cui i detenuti hanno maggiori opportunità di vivere percorsi che gli consentono di abbandonare la vita criminosa, sono realtà sostenute da un ambiente esterno pieno di iniziative e di presenza in carcere con molte relazioni e attività. Ha citato il carcere di Bollate a Milano ma anche il carcere presente nella sua diocesi di Bologna, all’interno del quale “c’è una fabbrica vera, dove i detenuti lavorano”. “Se gli impresari entrano in carcere, queso cambia la vita dei detenuti che con il lavoro vedono una luce, perché – ha sottolineato Zuppi – il lavoro permette al detenuto di non essere identificato con la sua colpa e così di pensare ad un futuro diverso”.

Il cardinale ha richiamato l’attenzione a non confondere la giustizia riparativa come mezzo per ottenere sconti di pena, perché il processo che è alla base della “riparazione” “è svincolato del tutto da ogni beneficio di pena per il detenuto, è un itinerario di conoscenza reciproca che riconcilia”.

Il perdono è “liberante”. Vanno ascoltate le vittime

In questo processo va visto anche l’itinerario del perdono della vittima, che è, però, ha avvertito Zuppi, “un’altra cosa in quanto è un percorso lungo e certamente molto liberante, aiuta una comprensione profonda del male fatto che non cancella il male, ma permette di liberarsene”.
Spesso noi siamo accusati di essere buonisti e perdonisti, portando una visione culturale negativa di questa dimensione che è, invece, un positivo atteggiamento, oltre che cristiano.

“Dobbiamo difendere la cultura giuridica che nasce da tanto Umanesimo Cristiano – ha concluso Zuppi – che qualche volta viene sciupata o imbarbarita o addirittura resa come negativa. Penso che c’è un vero impegno cristiano a difendere sempre la persona e anche qui dico questa cultura giuridica che che guarda al futuro garantisce la vittima e guarda al futuro anche del colpevole”.

Ascolta la dichiarazione finale