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SALERNO “Voce dei senza voce”: mons. Paglia racconta sant’Oscar Romero

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di STEFANO PIGNATARO

“Voce dei senza voce”: è il titolo dell’iniziativa incentrata su Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, esponente di spicco della “teologia della liberazione” incentrata sull’emancipazione sociale e politica della Chiesa, barbaramente assassinato nel marzo di quarantuno anni fa ad opera degli “squadroni della morte”, gruppi militari di estrema destra facente capo al leader politico Roberto D’Aubuisson. L’iniziativa, organizzata dalle presidenze di Fuci, Meic ed Azione Cattolica, ha avuto luogo il 26 ottobre scorso nel Salone degli Stemmi della Curia arcivescovile e ha avuto come ospite d’onore mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontifica accademia per la vita e postulatore della causa di Oscar Romero, canonizzato nell’ottobre di tre anni fa da papa Francesco. Mons. Paglia, dopo i saluti dell’arcivescovo di Salerno mons. Andrea Bellandi, dei tre presidenti Rocco Pacileo, Stefano Pignataro e Maria Vittoria Lanzara e dopo l’introduzione storica del prof. Alfonso Conte sotto la moderazione del giornalista Antonio Manzo, terrà una relazione storico-teologica su ciò che ha significato la straordinaria eredità di Oscar Romero, la sua caratura morale e spirituale e come la sua testimonianza civile e cristiana abbia influenzato il contesto storico e cristiano di quegli anni e quelli in divenire.

Una figura, quella di Oscar Romero che in occasione del quarantennale dalla morte, impone lucide analisi sulla sua figura. Mons. Vincenzo Paglia, da postulatore, ha analizzato a lungo il suo operato, traendone numerosi spunti di riflessioni: “Certamente mons. Romero è un testimone di quella Chiesa in uscita cara a papa Francesco, anche se all’epoca in cui era arcivescovo di San Salvador (1977-1980) questa espressione non esisteva. Romero si ispirava però al messaggio di estroversione missionaria del Concilio Vaticano II e in modo particolare alla Evangelii Nuntiandi di Paolo VI, che di fatto rappresenta un manifesto di Chiesa in uscita, e non è un caso che Papa Francesco abbia tanta venerazione per questa esortazione apostolica di Paolo VI. Romero non è stato però solo un testimone volenteroso dell’evangelizzazione missionaria. Per portare il Vangelo nella vita pubblica, ben al di là dei sacri recinti delle chiese, si è impegnato per la giustizia e per difendere i poveri fino a dare la sua vita come martire. Una analogia tra lui e papa Francesco la ritroviamo anche nel linguaggio della predicazione, in entrambi concreto e fattuale, non angelicale. Le omelie di Romero collegavano strettamente il commento biblico alla storia, esigendo, secondo lui, una ‘incarnazione’”. Figlio diretto del Concilio, mons. Romero ne trasse numerosi insegnamenti: “Romero studiò in maniera approfondita i documenti del Concilio Vaticano II – ha continuato Paglia- che lo indussero a innovare l’antica teologia sulla quale si era formato negli anni Trenta e Quaranta, sulla base della fedeltà indiscussa al magistero della Chiesa e dei Papi – ed è questo della fedeltà al magistero un tratto della sua vita spirituale mai venuto meno. Del Vaticano II applicherà da arcivescovo soprattutto la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, la Gaudium et Spes, che citava frequentemente. Romero parlava in maniera molto diretta di conversione e salvezza dell’anima, e quando chiedeva giustizia, ad esempio invitando i ricchi a condividere la loro ricchezza materiale con i poveri, lo faceva come una esigenza di conversione interiore e di redenzione, non come una esigenza politica, economica e tanto meno sociologica”.

Anche sul contributo di sant’Oscar Romero alla “teoria della liberazione”, mons. Paglia è stato molto chiaro: “Premettiamo che la teologia della liberazione, al tempo di Romero, non era stata condannata dalla Congregazione per la dottrina della fede per le sue inclinazioni all’analisi sociale marxista, e inoltre occorrerebbe parlare di molte e diverse teologie della liberazione. Romero aveva simpatia per quella corrente della teologia della liberazione, espressa dal cardinale argentino Eduardo Pironio, che aveva accenti spirituali e non politici. Non era un teologo e non leggeva abitualmente testi teologici ma, nella prassi, il suo amore per i poveri lo ravvicinava alla teologia della liberazione. A un giornalista che gli chiese se lui si identificava con la teologia della liberazione, Romero rispose che sì, si poteva dire così, e però la teologia della liberazione che lui sposava era la stessa del magistero di Paolo VI; se differiva dalle intenzioni e dalle linee tracciate dal magistero di Papa Montini allora lui non ci si identificava. Nel linguaggio di Romero, liberazione corrispondeva a redenzione, cioè egli riconduceva la teologia della liberazione alla redenzione di Cristo sulla croce”.