di BEPPE ELIA
(editoriale pubblicato nel numero 1-2019 di Coscienza)
Nella generalità delle questioni che la politica ha posto in agenda in questi ultimi tempi abbiamo assistito a contrasti molto accesi non solo fra maggioranza e opposizione, ma anche all’interno dello stesso governo. Non è una novità di questi mesi, perché da vari anni questa conflittualità si è a più riprese manifestata. Colpisce in particolare la radicalizzazione delle posizioni, in cui i contenuti sostanziali che dovrebbero motivare l’una scelta o l’altra spesso si offuscano o comunque vengono banalizzati per far emergere gli elementi di divaricazione. Qualcuno dice che si è sempre in campagna elettorale (tra l’altro, non è una regola imperativa che in campagna elettorale si debba procedere per slogan e attraverso messaggi semplificatori che annebbiano la realtà), ma vi è l’impressione che non vi sia mai interesse ad affrontare la complessità dei problemi, perché questo non crea consenso. Ridurre tutto ad un tweet, ad un messaggio di facile presa, sembra divenuto non solo un modo di comunicare ma di rappresentare la realtà; perchè la sintonia tra la classe politica e le persone si gioca più sulle sensazioni che sui ragionamenti.
Potrà sembrare impopolare, ma credo occorra avere il coraggio di dire, soprattutto in un mondo così intricato, e immersi in cambiamenti sociali, tecnologici, culturali molto repentini, che i problemi si possono affrontare seriamente solo attraverso un di più di conoscenza, e non tramite le scorciatoie di sintesi malaccorte.
Riflettevo in questi giorni sul dibattito, dai toni sempre più inaciditi, intorno alla linea TAV Torino – Lione, perché mi sembra uno degli emblemi di questa stagione politica, in cui le fazioni pro e contro si fronteggiano brandendoanalisi costi – benefici che probabilmente pochi hanno letto e ancor meno capito. Ed è davvero curioso che questo strumento tecnico cui si affida ciecamente il compito di dire una parola definitiva su un problema molto articolato, in virtù di calcoli e valutazioni tecniche considerate neutrali e che quindi rendono inattaccabile ogni scelta che da esso derivi, si dimostri invece così vulnerabile.
In realtà a ben vedere, alla base di questa debolezza vi èuna questione che non viene quasi mai considerata nel dibattito pubblico: e cioè la possibilità che un tema complesso possa essere gestito da specialisti anche molto competenti attraverso un processo metodologico univoco e condiviso. Nel determinare se fare o no una infrastruttura (ma questo vale in qualunque processo decisionale) si debbono valutare tutti gli effetti, positivi e negativi, che sono associati alla sua costruzione, non solo quelli economici, ma anchead esempio le modificazioni ambientali indotte, l’influenza sulle comunità, l’importanza dell’opera in un ambito territoriale esteso. Se da un lato alcuni parametri sono valutabili e confrontabili attraverso dei criteri tecnici o previsionali (e già su questi vi sono solitamente visioni non uniformi tra esperti), altri sono molto più difficili da comparare perché non sono tra loro omogenei: ad esempio, se è scontatoche esistano degli impatti ambientali (positivi o negativi) conseguenti alla realizzazione di un’opera, in base a quali modelli si può attribuire loro un valore economico per poterli confrontare con altri la cui entità economica è basata su dati più facilmente quantificabili? Ovviamente a far pendere la bilancia in una direzione piuttosto che in un’altra intervengono anche criteri etici, strategici, politici che non possono essere gestiti solamente con una pura analisi tecnica.
È la politica che dovrebbe compiere questo fondamentale passo di assegnazione del valore secondo determinate priorità e attraverso un articolato processo di mediazione, che si proponga, non di far prevalere l’interesse di una parte contro un’altra, ma di comporre le varie istanze, adottando scelte che siano comunque rispettose delle posizioni altrui; con la consapevolezza che scegliere significa anche accettare il rischio dell’impopolarità in nome di una idea di futuro. In realtà la regola “conoscere prima di decidere e per decidere” è oggi sempre più “decidere e poi cercare nelle analisi tecniche quei dati che confermano le ragioni della decisione”. Sappiamo bene quanta importanza stia assumendo il consenso dei gruppi sociali nel determinare le iniziative politiche, e quanto ogni forza politica senta spesso il fiato sul collo della parte di popoloche la sostiene;il rischio, che si palesa ormai con evidenza, è che un vero confronto sulla sostanza delle questioni in discussione, e la ricerca di una mediazione alta, vengano sacrificatiper accentuare quegli aspetti che suscitano maggior approvazione sociale. Finita la discussione sulla TAV, comincerà quelle sull’autonomia differenziata delle regioni e già si preannunciano venti di guerra anche su questo tema, che pure potrebbe essere una grande occasione per individuare nuove vie per conciliareuna maggiorresponsabilizzazione delle regionicon le istanze di solidarietà sul pianonazionale.
Sentiamo il respiro corto di questa politica, in cui si confrontano interessi di basso profilo e si ragiona con una visione miope, quando il mondo globalizzato dovrebbe generare in noi il desiderio di individuare prospettive nuove e attivare maggiori competenze per affrontare le questioni. Chissà se il dibattito sull’Europa sarà l’occasione per un salto di qualità; anche se le premesse non sembrano annunciare nulla di buono, qualche voce pacata e coraggiosa potrebbe aiutare a ridare un po’ di ossigeno alle nostre democrazie.