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Ma noi non siamo un Paese di pace

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01 Gennaio 2018

di BEPPE ELIA

La giornata della pace si accompagna in questi giorni con un dibattito sul commercio delle armi, che tocca direttamente il nostro Paese. A determinarlo non è stata la rivelazione di qualche realtà prima sconosciuta, perché si sa bene che in Italia vi sono fiorenti aziende produttrici di armi, come si sa che alla produzione è strettamente legato un mercato internazionale che non ha mai avuto crisi. E già nei mesi scorsi la ministra della Difesa aveva precisato che la vendita di materiale bellico costruito in Italia all’Arabia Saudita era avvenuta rispettando le regole internazionali.

A suscitare nuovi interrogativi e proteste è stata la denuncia del fatto che siano state fornite bombe che sono utilizzate per la terribile guerra in Yemen, in contraddizione con il divieto di vendere armi a Paesi in stato di conflitto.

Quello che trovo inquietante non è solo l’inefficacia di leggi che pure ci siamo dati, ma il fatto che, sbandierando una finta neutralità, l’Italia scelga di partecipare in modo sempre più attivo a questo commercio di morte. Se anche rispettassimo la legge 185, sappiamo bene, quando vendiamo bombe a qualcuno, che queste un giorno o l’altro saranno lanciate contro qualcosa o qualcuno.

E trovo sconcertanti alcune affermazioni a difesa di questo stato di cose: “Se non facciamo noi le armi, le farà comunque qualcun altro”, o “il nostro Paese non può permettersi di rinunciare ad attività produttive proficue in tempo di crisi”. Come dire: le guerre ci sono, e continueranno ad esserci, tanto vale trarne un beneficio per noi. Mi sembra una prospettiva disumana, indegna di un Paese che, in questi anni, è stato capace anche di scelte solidali e nel segno dell’accoglienza, a dispetto di un’Europa gretta.

C’è un secondo fatto che ha generato molte discussioni: e cioè la decisione del governo di inviare un contingente militare in Niger, finalizzato a contrastare il traffico di migranti. Non intendo negare che questo obiettivo sia giusto, ma in realtà esso viene perseguito con un’iniziativa che appare adeguata solamente a risolvere un nostro problema (evitare un massiccio arrivo di profughi, che non sappiamo affrontare in modo dignitoso), senza elaborare una vera strategia per evitare che queste popolazioni debbano porre a rischio le loro vite a causa di violenze, fame, malattie, nei luoghi in cui esse vivono o rinchiuse in centri di raccolta.

Il messaggio del Papa in occasione della giornata della pace indica stile e orientamenti che sembrano oggi molto lontani dalla sensibilità e dalle preoccupazioni dei popoli europei. Eppure la via della pace passa attraverso al nostro chinarsi verso donne e uomini che, magari a distanza di migliaia di chilometri da noi, hanno bisogno che ci prendiamo cura di loro.