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Non possiamo abituarci ad Aleppo

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di BEPPE ELIA
presidente nazionale MEIC

Abbiamo negli occhi ormai da mesi la tragedia di Aleppo; ma questo continuo scorrere di immagini cruente, di anziani, bambini, donne trattati come uno scomodo pezzo di umanità che intralcia la furia distruttrice di eserciti e gruppi armati, pare non inquietare più noi, da questa parte del mondo.

Ci eravamo convinti che fosse l’ISIS la causa di ogni forma di terrore, ma l’ISIS ad Aleppo non c’è più; eppure il terrore lì è di casa, a ricordarci che la disumanità non appartiene solo a particolari gruppi, ma che si alimenta ovunque si pensa che la guerra possa essere lo strumento per affermare il proprio dominio e le proprie concezioni.

Ci stiamo abituando a guardare volti e corpi straziati con dolore, ma anche con una sorta di rassegnazione (cosa possiamo farci noi?), scordandoci di loro appena le immagini scompaiono alla nostra vista, e ripiombando nelle nostre occupazioni. E del resto, non diciamo ormai da tempo che nel nostro Paese crescono la povertà e il disagio? Quindi, è di questi problemi che dobbiamo preoccuparci prima di volgere lo sguardo verso le terre medio orientali?

Eppure le due questioni, quella internazionale e quella interna, hanno, nella loro profonda differenza, alcuni elementi che le accomunano: in specifico il prevalere di interessi particolari (di potere, finanziari, commerciali …), e l’incapacità di guardare e rispondere ai bisogni della gente più semplice e con meno mezzi.

C’è un’istanza di giustizia, che percorre trasversalmente tutto il mondo, cui non sappiamo dare risposte adeguate. E sarebbe davvero inquietante se i drammi dei poveri di casa nostra dovessero essere usati contro altri poveri, dimenticandoli o peggio ancora umiliandoli, con un meccanismo perverso che genera ulteriore odio.

Dobbiamo allora ritornare a occuparci di politica, scegliendo di stare là dove i problemi sono più acuti e per sostenere una crescita che deve essere anzitutto di equità e di attenzione a chi fa più fatica. Non cogliere la profondità della crisi che viviamo, e osservarla come se fosse un’influenza passeggera, sarebbe un grave errore e un venir meno alla nostra responsabilità.