di FABIO CAPORALI
coordinatore Osservatorio Ambiente ed ecologia
Per celebrare, attraverso una intenzione personale, la 9° giornata per la Salvaguardia del Creato – istituita dalla CEI per il 1° settembre di ogni anno – suggerirei la lettura della Prima Lettera di S. Paolo ai Corinzi. In questa lettera sono evidenti molti elementi di connessione con il tema della Salvaguardia del Creato, riassumibili in quattro parole chiave: lavoro, servizio, amore, resurrezione, che svelano il senso cristiano della vita.
In Cor 3,5-9, Paolo afferma che “siamo collaboratori di Dio nel suo campo”, dove il “campo” è un’efficace metafora per identificare il mondo che abitiamo e che modifichiamo con il nostro lavoro. Il lavoro che ci nobilita e che esprime la nostra creatività deve essere conforme al dettato di Gen. 2 , che richiede i “servizi” di coltivazione e cura.
“A ciascuno di noi Dio ha affidato un compito. Io ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma è Dio che ha fatto crescere. Perciò chi pianta e chi annaffia non contano nulla: chi conta è Dio che fa crescere… Ognuno di noi riceverà la ricompensa per il lavoro svolto”.
Il recupero del concetto di lavoro come servizio reso a Dio e non solo agli uomini, include anche quello reso alla comunità dei viventi e all’ecosistema terra in generale. Il nostro lavoro si affianca a quello della intera natura che ci comprende la quale lavora per rinnovare le risorse vitali quali acqua, aria, suolo, biomasse ed energia, che nell’insieme rendono abitabile il nostro pianeta e che è nostra responsabilità custodire, in modo che i processi vitali siano mantenuti nel tempo (sostenibilità).
In Cor 4,1-2, si precisa la natura del servizio: “Dovete quindi considerarci come servi di Cristo e amministratori dei segreti di Dio. Ebbene, a un amministratore si chiede di essere fedele”.
Quanto, come individui , come istituzioni e come società di credenti, rispettiamo il mandato di fedeltà ai principi che determinano la vita della creazione?
Nei doni della Creazione occorre ricercare quelli migliori: Paolo li indica nell’Inno all’Amore (Cor 13,1-13):“Se ho il dono d’essere profeta e di conoscere tutti i misteri, se possiedo tutta la scienza e anche una fede da smuovere i monti, ma non ho amore, io non sono niente”. “Ecco dunque le tre cose che contano: fede, speranza amore. Ma più grande di tutte è l’amore”.
La custodia del creato è un compito di coltivazione e cura amorevole. La vita ecosistemica è vita di relazione, la sua conoscenza aiuta a riflettere sulla fratellanza che accomuna tutte le parti, organiche ed inorganiche, in un unico complesso planetario vivente che si rinnova ed evolve nel tempo, nonostante la morte individuale di cellule ed organismi. La morte, come la vita, ci accomuna nella vita ecosistemica, che trascende la vita individuale e sfocia nella evoluzione della umanità e della intera comunità biosferica.
“Nessun seme rivive se prima non muore” (Cor 15,36). La nostra spiritualità, che ci fa comprendere i processi naturali, è radicata nella materia, che è il substrato comune di tutta la creazione.
“Ma non vien prima ciò che è spirituale, prima viene ciò che è materiale. Quel che è spirituale viene dopo. Il primo uomo, Adamo, è stato tratto dalla polvere della terra, il secondo, Cristo, viene dal cielo. Finché siamo su questa terra, siamo simili ad Adamo, fatto con la terra. Quando invece apparterremo al cielo, saremo simili a Cristo, che viene dal cielo. Come siamo simili all’uomo tratto dalla terra, così allora saremo simili a colui che è venuto dal cielo” (Cor 15,46-49).
Auspico che la lettura della Prima lettera di S. Paolo ai Corinzi ci aiuti a svolgere meglio il nostro ruolo di Custodi del Creato.
LEGGI IL MESSAGGIO DELLA CEI PER LA GIORNATA PER LA SALVAGUARDIA DEL CREATO 2014