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“La stagione del dialogo”

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di CARMELO STORNELLO

Per mille anni i cristiani di rito cattolico romano hanno sofferto della sindrome di accerchiamento, la mentalità di frontiera descritta da Dino Buzzati nel romanzo “Il deserto dei tartari”. La sindrome infatti è comparsa dopo lo scisma tra le Chiese di Roma e d’Oriente, si è via via rafforzata come reazione alle eresie pauperistiche dei secoli XIII e XIV, poi alla Riforma protestante ed alle guerre di religione, si è consolidata con l’Illuminismo che accusava la Chiesa di addormentare le coscienze e raggiunse il culmine nel 1870, con l’occupazione di Roma da parte dell’esercito del neonato Regno d’Italia che elimino il residuo potere temporale del Papa.

Per queste vicende la Chiesa ha sospettato di ogni innovazione ed ha ritenuto gli intellettuali colpevoli di diffondere l’anticlericalismo. Posizione che ha causato grandi sofferenze in chi sognava una Chiesa ispirata al Vangelo più che alle norme od alla magnificenza dei riti ed ha disabituato i credenti al confronto con i non credenti sino a temerlo.

Il Concilio Vaticano II ha liberato la Chiesa da questa sindrome riconoscendosi Popolo di Dio e facendosi carico de “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi” (Gaudium et spes, proemio). ll Concilio ricompose anche l’antica frattura con gli intellettuali quando Paolo VI simbolicamente consegnò loro gli atti del Concilio tramite Jacques Maritain, il filosofo che da anni auspicava l’incontro fra gli uomini “compagni di strada”.

l dialogo però non è facile, le vicende sopra ricordate hanno lasciato in qualcuno residue incrostazioni culturali e nei credenti paure nascoste che potrebbero indurre al reciproco sospetto, ma dopo i tanti esempi ed incitamenti di Papa Francesco, il tentativo di dialogare non è più eludibile.

A tal proposito risultano significativi per i credenti i due brani del Vangelo (Matteo 25, 14-30 e Luca 19, 11-27) che narrano del padrone che chiede conto ai dipendenti dei talenti che aveva loro affidati. Quei brani ci ricordano che dovremo dar conto dei talenti che sono stati affidati a ciascuno di noi e sarà grave non avere risposte da dare. Il dialogo potrebbe essere una risposta. Il confronto tra uomini di buona volontà, credenti, non credenti od altrimenti credenti, è un mezzo per studiare la condizione umana, rendersi conto che la creazione è in continuo divenire e che spetta agli uomini continuare a realizzarla. Pertanto, gli uomini ormai liberi dai vecchi condizionamenti possono incontrarsi per occuparsi insieme dell’uomo ed entrare nel mistero della vita per percepirne il dinamismo ed il senso nascosto. Così potranno comprendere ed affrontare i gravi problemi posti dalla modernità fra cui:

Il vero significato del concetto di dignità della persona e ciò che ne deriva in ogni momento della vita;
Come impedire la disgregazione della famiglia, diventata un insieme di persone orientato all’individualismo e non un nucleo che educa alla socialità;
Come far capire che il matrimonio non è sostituibile dalla irresponsabilità della convivenza;
Come far comprendere la dignità di accompagnare alla buona morte sia una buona alternativa all’eutanasia.
Perché la società è soffocata da un’economia disumana disinteressata ai bisogni dell’uomo, umiliandone la dignità e, arricchendo i ricchi ed impoverendo i poveri, causa una grave crisi morale;
Perché non si comprende che il creato è un bene da custodire e non un bene inesauribile da sfruttare.
Inoltre ai credenti spetta il compito di aiutare la Chiesa, Popolo di Dio, a non cadere nella seduzione del Serpente, sempre in agguato nel cammino degli uomini, che tenta di illuderla che non vi siano spazi teologici per accogliere ed alleggerire le sofferenze dei suoi figli, ed in particolare:

L’allontanamento dalla Casa del Padre dei credenti divorziati e delle persone omosessuali;
L’allontanamento dei giovani dalla Chiesa nella quale non intravedono alcuna luce;
L’incomprensione del ruolo della donna prevalentemente usata come erogatrice di servizi od oggetto da sfruttare;
L’obbligo del celibato imposto ai sacerdoti cattolici della Chiesa di Roma e non ai sacerdoti della Chiesa cattolica orientale.
E’ quindi giunto il momento per gli uomini e le donne pensanti di smetterla con i conciliaboli interni e di aprirsi al dialogo senza le antiche remore.