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Mons. Lorizio al Meic: viviamo un momento favorevole all’impegno culturale

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Pubblichiamo il saluto che mons. Giuseppe Lorizio rivolge a tutti i soci Meic.


Con animo grato nei confronti di chi ha espresso la sua fiducia in me nell’affidarmi il compito di assistente nazionale del MEIC, rivolgo un cordiale saluto a tutti voi.

Come ben sa chi mi conosce da tempo (e tra i membri del movimento ce ne sono diversi) non amo le formalità, pertanto la mia sarà una breve riflessione introduttiva al percorso che mi sto accingendo a compiere in vostra compagnia.

In questa occasione sono portato a riflettere sulle parole-chiave che identificano il nostro essere e agire.

“Movimento”

In primo luogo, “movimento”, che implica una intrinseca e significativa dinamica a partire dalla consapevolezza che si tratta di una realtà laicale, nella quale l’assistente, che sia nazionale, di gruppo o diocesano svolge un ruolo di semplice accompagnamento.

E per poter accompagnarvi al meglio bisognerà che sappia dove siamo diretti. Impiegherò pertanto i primi momenti del mio incarico ad apprendere dai laici che ci guidano la direzione intrapresa e che si intende perseguire.

“Chiesa”

La seconda parola fa riferimento alla “chiesa” ed è strettamente connessa alla natura laicale della nostra realtà, che non sono gli assistenti a garantire. Se così fosse saremmo in pieno deprecato clericalismo.

La profonda sinergia, che invita a superare la prima delle piaghe che il beato Rosmini indicava nella Chiesa, cioè la separazione del clero dal popolo, dovrà caratterizzare i nostri rapporti e le nostre iniziative.

“Impegno”

La terza parola è “impegno” e va coniugata con la “passione” per il nostro compito. Si tratta della “passione del pensiero”, che consente di superare la tentazione di ripetere sempre le stesse iniziative o proporre sempre le stesse tematiche.

In tal senso siamo chiamati alla creatività e quindi all’esercizio della fantasia nel progettare i nostri percorsi a livello sia locale che nazionale.

“Cultura”

Infine, la parola “cultura”. Sembra un momento favorevole per tanti motivi. Nel nostro Paese è in atto un dibattito, a tratti vivace, su quella che il potere di turno denomina “egemonia culturale”.

Non possiamo sottrarci dal partecipare e dire la nostra, prendendo le distanze proprio da una concezione che rischia di strumentalizzare la dimensione culturale per affermare l’egemonia del proprio gruppo o peggio del proprio partito sugli altri.

La cultura autentica ci libera da tali tentazioni sempre in agguato. Al tempo stesso non possiamo non misurarci con la tendenza all’esculturazione del cristianesimo.

Non possiamo riprodurre modelli del passato, perché, come afferma papa Francesco nella Veritatis gaudium, abbiamo bisogno di una vera e propria “rivoluzione culturale” (n. 3 e nota 27 con riferimento alla Laudato si‘). Tale rivoluzione sarà possibile e si potrà attuare grazie alla nostra (personale e di gruppo) capacità di compenetrare i contesti nei quali siamo inseriti.

La Chiesa Italiana richiama di recente la necessità dell’impegno nell’ambito culturale.

Rimando per tutto ciò al mio articolo pubblicato su Avvenire (Chiesa e cultura, è il tempo della presenza) , nonché a un passaggio decisivo della relazione del cardinal Matteo Zuppi alla recente assemblea della CEI: «Il metodo sinodale – riprendere a parlare tra noi, dedicando tempo ad ascoltare e a riflettere – mostra la necessità di “pensieri lunghi”, capaci di dialogare con la realtà, di motivare parole ispirate che sappiano sapidamente parlare agli uomini e alle donne del nostro tempo. Il metodo sinodale favorisce la ripresa del dialogo, non solo nella comunità cristiana, ma a tutto campo nella società». Pensare in lungo è pensare in grande, come avrebbe detto Rosmini.

Un grato pensiero

Non mi resta che rivolgere un grato pensiero a quanti mi hanno preceduto, alcuni dei quali amici ed ex colleghi a colui dal quale ricevo il testimone, mons. Giovanni Soligo, e all’assistente dell’ACI mons. Claudio Giuliodori col quale in diverse occasioni ho avuto modo di collaborare, chiedendo fin d’ora venia e comprensione per eventuali errori dovuti alla fragilità della condizione umana.