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Troppi astenuti, sintomo di una democrazia ammalata. Qualche riflessione sulle amministrative

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di LUIGI D'ANDREA

Gli scorsi 3 e 4 ottobre si sono celebrate le elezioni amministrative in molti enti locali del nostro Paese, tra i quali si annoverano una Regione, come la Calabria, e numerosi Comuni, tra i quali alcuni di grandi dimensioni, come Milano, Torino, Bologna, Napoli, e la stessa capitale d’Italia, Roma. Naturalmente, un giudizio maturo e  su questa tornata elettorale si potrà formulare soltanto dopo che avrà avuto luogo (domenica 17 ottobre) il secondo turno di ballottaggio nei Comuni che non hanno visto eleggere il loro sindaco al primo turno. Tuttavia, alcune rapide e caute osservazioni possono essere avanzate anche in riferimento ai risultati maturati nel primo turno.

In primo luogo, non può non registrarsi con preoccupazione l’ulteriore crescita della percentuale di cittadini aventi diritto al voto che hanno deciso di disertare le urne: ha votato poco più della metà dell’intero corpo elettorale. La crescita del numero degli astenuti rappresenta il segno più evidente (non l’unico, purtroppo…) della sempre più accentuata disaffezione dei cittadini nei confronti della politica e della vita delle istituzioni pubbliche; ed è appena il caso di rilevare che il crescente disinteresse rispetto alla politica (o comunque la mancata partecipazione alle elezioni politiche e/o amministrative) di larghe fasce della popolazione si pone come una grave patologia in un sistema democratico, che per sua natura non può che vivere ed alimentarsi della partecipazione attiva della comunità politica all’esercizio del potere pubblico. Perciò, tale disaffezione deve essere in ogni modo contrastata: certamente, con una buona prassi delle forze politiche e delle pubbliche istituzioni, ma anche (ciò che per noi del Meic è ancora più significativo evidenziare) con la crescita nella comunità dei cittadini del livello di consapevolezza civile, di solidarietà sociale, di cultura politica.

Quanto ai risultati conseguiti dai candidati ai vertici degli esecutivi locali e dalle liste presentate dalle forze politiche, i risultati elettorali, complessivamente considerati (ed al netto dalla considerazione, pur necessaria, delle differenze ravvisabili nei diversi territori), segnano un generale arretramento delle forze sovraniste e nazionaliste, ed un (sia pur relativo) successo di forze che possono qualificarsi come filo-europeiste (prevalentemente di centro-sinistra). Mi sembra che una simile tendenza possa essere salutata come un segnale positivo, anche in considerazione della circostanza che buona parte che periodo nel quale resteranno in carica le amministrazioni locali neoelette risulterà segnato dall’attuazione e dall’implementazione dei progetti e degli investimenti riconducibili al PNRR, richiedendosi dunque loro un’adeguata capacità di interlocuzione con l’Unione europea, pur se di regola mediata dal Governo nazionale. E non può sfuggire come il rapporto tra il nostro Paese e l’Unione europea venga progressivamente acquisendo una sempre più marcata centralità: perciò, le diverse forze politiche (ai diversi livelli territoriali) sono chiamate a strutturare solidi legami con il complesso sistema istituzionale e politico che è oggi l’Unione europea, concorrendo a farne sempre di più uno spazio di autentica solidarietà sociale, economica e politica tra tutti i popoli europei.

Più in generale, è da auspicare che l’esito della presente tornata elettorale concorra a spingere le forze politiche a operare in direzione di un più stabile e funzionale assetto politico, che sappia qualificarsi, pur nei differenti indirizzi manifestati dai diversi soggetti (e dalle diverse coalizioni politiche) operanti nel sistema partitico, per la generalizzata capacità di offrire inveramento ed implementazione ai valori costituzionali nell’attuale contesto storico.