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La memoria, vaccino prezioso contro l’indifferenza

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Marinella V. Sciuto
vicepresidente del Meic

“Se perdiamo la memoria, annientiamo il futuro”: così dichiarava papa Francesco il 20 gennaio dello scorso anno incontrando la delegazione del Simon Wisenthal Center.

Giunti al 27 gennaio, XXI Giorno della Memoria della Shoah, istituito dalla Legge n. 211 del 20 luglio 2000, se si registra un aumento di insulti antisemiti in rete, tanto da far parlare di squadrismo neofascista di impronta digitale, si impongono delle domande sullo stato di salute dell’educazione della memoria nelle nostre società democratiche, provate dalla pandemia. Come dichiarato amaramente da Edith Bruck, “L’antisemitismo è tornato, è una nuvola nera sull’Europa”. Il segnale di allarme non viene purtroppo preso sul serio visto l’avanzamento di reazioni di segno diverso, da una parte, infatti, si parla di Holocaust Fatigue, di stanchezza verso i discorsi sulla Shoah, dall’altro, è assai attiva la retorica del discorso negazionista.

Si avverte urgente il bisogno di una lezione di chimica, quella scienza chiara e distinta, incarnata da Primo Levi che con esemplare lucidità di metodo riusciva a dichiarare le falsità del fascismo, quando, nella tavola rotonda La questione ebraica, scriveva: “Che Eichmann sia colpevole, salta agli occhi; ma occorre che ogni cittadino, fin dai banchi di scuola, impari che cosa significa verità e menzogna, e che non si equivalgono; e che si può macchiarsi di colpe gravissime a partire dal momento in cui si abdichi alla propria coscienza per sostituirla col culto del Capo “che ha sempre ragione” (1).

Alla domanda “Esiste ancora nel mondo il pericolo di un ritorno all’antisemitismo o della persecuzione razziale di massa,coi sistemi di tipo nazista?”, Levi rispondeva: “L’antisemitismo non è spento, e persecuzioni razziali di massa possono ritornare. L’oggetto della violenza viene ricercato in una minoranza. Le nuove generazioni sanno troppo poco di ciò che è accaduto. Molti giovani ignorano quasi tutto del fascismo e soprattutto del nazismo, oppure ritengono, ingenuamente, che fascismo e nazismo abbiano difeso generosamente i valori della patria, dell’ardimento, dell’ordine, dello Stato”.

Dobbiamo dunque ammettere che vi è il rischio di un cattivo uso della memoria che si manifesta nella dimensione della memoria celebrata, sacralizzata attraverso i riti, gli omaggi dei fiori, l’erezione di monumenti commemorativi. Davanti al terremoto della Shoah le parole sono invece vuote. Se non vuole essere sterile ripetizione di slogan confortanti, la memoria deve diventare scelta esistenziale. Essa infatti non risiede nella testa e neanche nel cuore ma nei piedi, nei nostri passi di slancio in difesa di coloro che patiscono la violazione dei diritti umani. Della memoria dunque va fatto un uso politico. Lo ha detto bene nella seduta del 6 giugno 2018 in Senato Liliana Segre quando ha affermato:

“La parola va data a quelle migliaia di italiani appartenenti alla piccola minoranza ebraica che vennero espulsi e umiliati dalle scuole, dalla pubblica amministrazione e dalla società italiana durante il ventennio fascista. Soprattutto si dovrebbe dare idealmente la parola a quei tanti uccisi per la sola colpa di essere nati, che sono cenere nel vento. Salvarli dall’oblio significa onorare il debito storico che l’Italia ha con loro, ma anche portare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza, a non anestetizzare le coscienze, ad essere più vigili”.

Ogni giorno è giorno della memoria quando accettiamo la fatica dei conti con la nostra storia rifiutando gli stereotipi consolidati e le ricostruzioni accomodanti, riconoscendo che la Shoah è stata anche una pagina della storia italiana e che, come ricorda Anders, può esistere un antisemitismo senza ebrei.

“L’esistenza degli ebrei non è affatto necessaria per lo scoppio dell’antisemitismo; esiste un antisemitismo senza ebrei. Chi vorrebbe combattere gli ebrei e non ne trova nessuno disponibile, molto probabilmente chiamerà ebrei altri gruppi diversi”. “L’infezione latente” di leviana memoria nel ritenere che “ogni straniero è nemico”, è sempre in agguato e mina le radici della convivenza umana. Tocca a noi, come educatori, come cittadini, come società civile, essere sentinelle vigili e attente nel coglierne i segnali.

1 P. Levi, La questione ebraica in “La vacanza morale del fascismo. Intorno a Primo Levi”, ETS, 2009.