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“Dignità”: l’editoriale di Coscienza 1/2011

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(Editoriale del numero 1/2011 di Coscienza)

di RENATO BALDUZZI

Tra le circostanze che dovrebbero accompagnare (seguendo il filo del precedente editoriale di questa rivista) un nuovo Risorgimento per il nostro Paese, sentiamo molto forte in queste settimane l’esigenza del recupero di una nostra dignità, sul piano interno e conseguentemente su quello europeo e internazionale.

Sul piano interno, ritrovare un minimo di corrispondenza tra la realtà dei fatti e l’universo delle dichiarazioni pubbliche, delle deliberazioni parlamentari, della comunicazione mediatica, sembra essere la condizione per potersi riparlare tra di noi, tra i diversi orientamenti politici e culturali, qualche volta anche tra i componenti della stessa comunità ecclesiale.

Sul piano internazionale, le vicende collegate agli avvenimenti in corso nel Nord Africa dimostrano al tempo stesso l’indispensabilità di una seria politica estera e la sua impossibilità operativa sinché persista l’attuale deficit di autorevolezza del ceto politico chiamato a esercitarla.

“Dignità” è parola che, nel suo etimo, rimanda sia al concetto di gloria, sia a quelli di buona fama e di buona opinione: questi ultimi, nei rapporti umani, richiedono l’attenzione alla verità, o almeno a un minimo di verità, come condizione per stabilire una relazione di fiducia.

Così, ad esempio, è esercizio di dignità chiamare i prepotenti e i bugiardi con il loro nome, senza pensare alle convenienze, piccole e di breve periodo, che un diverso atteggiamento può facilitare.

Così ancora, è esercizio di dignità, considerato che l’apparire e l’avere il successo facile a qualunque costo sembra essere proprio dello spirito del nostro tempo, prendere le distanze rispetto ad esso.

Recuperare dignità richiede, però (come ricorda un volumetto del padre Paul Valadier di recente tradotto in italiano da Lindau), attenzione all’elemento spirituale o, detto con terminologia antica ma non superata, “cura dell’anima”, cioè capacità di legare l’apertura metafisica sul mondo alla volontà di costruire strutture di convivenza civile conformi appunto alla “costituzione dell’anima”, cioè al rispetto delle esigenze spirituali.

La meditazione del gesuita francese ci rimanda allora alla radice della nostra crisi, di cui le manifestazioni patologiche cui assistiamo nel nostro Paese, a opera soprattutto di alcuni esponenti di primo piano a livello governativo e parlamentare, costituiscono il sintomo e, in parte, ma soltanto in parte, la concausa: che è appunto crisi spirituale, nel senso profondo dell’espressione, cioè attenuazione di quella caratteristica, tutta europea, dell’indagine continua e critica intorno a se stessi, al mondo, alla società più giusta.

Andando al cuore di questa riflessione, constatiamo un paradosso di fondo: da un lato, è stata la concezione cristiana dell’esistenza, che ha permeato la civiltà europea e che è riassumibile nel convincimento che l’attività umana è partecipazione alla (e completamento della) attività creatrice di Dio, ad aver permesso di dare ali al pensiero scientifico e di creare le condizioni per lo sfruttamento pacifico della conseguente tecnologia; dall’altro, ciò ha comportato un’attenuazione della cura per l’anima e l’avvento dell’«ossessione per il consumo dei prodotti o per l’esclusivo bisogno positivista di conoscenza degli oggetti e delle cose», cioè ha condotto a quell’«Europa senz’anima» che fu la preoccupazione di uno dei padri fondatori dell’Europa comunitaria, Robert Schuman.

Ma la cura della propria anima è l’unico modo per ridare anima all’Europa, secondo l’antico monito di Sant’Agostino riassunto nel noli foras ire.

Quando il Meic, alcuni anni fa, propose quale tema di uno dei propri congressi lo schema “Correre, competere, confliggere. E contemplare?”, non tutti compresero subito il senso di quella domanda finale, che oggi proprio padre Valadier ci ripropone: «Senza lo Shabbat, qualunque forma che esso assuma, la settimana laboriosa e impegnata perde il proprio polo di verità e il proprio senso. L’attivismo divora l’azione e la sfigura. Senza il tempo sabbatico, fatto di rispetto e di distanza, in che modo l’attore politico avrebbe il senso del rispetto per gli altri e il distacco necessario per accoglierli nella loro diversità?».

Occorre chiederci, a questo punto, quali condizioni rendano possibile questo ritorno alla cura della propria anima.

Una riconquista cattolica dello spazio pubblico? Una società, per dirla con l’ultimo Maritain, «decorativamente cristiana»? La ricostruzione di una civiltà che si autodefinisca cristiana (o che non possa non dirsi tale) e che renda possibile la vita spirituale?

O non, piuttosto, una vita buona secondo lo Spirito, che sottolinei la complementarità di vocazione tra lo spirituale e il politico? O ancora – per fare nostra l’ultima domanda dell’autore francese -: se considerassimo la vita spirituale come una delle condizioni fondamentali di un’intensa vita sociale e politica?

Gli scritti di questo numero di Coscienza vanno in questa seconda direzione, alla cui prospettiva sarà dedicato il nostro impegno per l’annata in corso.

L’editoriale in formato pdf