1. Home
  2. Gruppi
  3. MEIC PIEMONTE Scienza e fede: distinte eppure unite
0

MEIC PIEMONTE Scienza e fede: distinte eppure unite

0

La cronaca del recente convegno con Carlo Cirotto pubblicata dal settimanale cattolico torinese Il Nostro Tempo.

”Luogo dove convergono i vari saperi secondo una logica non solo di semplice e banale giustapposizione ma soprattutto di una unità e reciproca inscindibile integrazione”: questo è, o dovrebbe essere, il Meic (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) come ha detto off the record don Oreste Aime ad avvenuta chiusura del convegno sul tema ”Creazione e libertà, il mistero della vita tra fede, scienza e ragione” indetto dal Meic piemontese tenutosi sabato 31 marzo al Sacro Monte di Crea.
Due i momenti dell’incontro: il primo di taglio scientifico, ma non esclusivamente, del prof, Carlo Cirotto, ordinario di Citologia e Istologia all’Università di Perugia e presidente nazionale del Meic, l’altro sugli aspetti prevalentemente teologici dell’oggetto del convegno, del prof. don Oreste Aime, già preside della Facoltà Teologica di Torino.
Nessuna meraviglia se il tema del primo intervento è subito apparso il più intrigante.
Inconfessatamente, a quattro secoli dal ”caso Galileo”, v’era sottesa, ingiustificatamente ma ancora la qua e là attuale, la vexata quaestio dei rapporti conflittuali tra la scienza e la teologia.
Una questione, rettifica Cirotto, che non dovrebbe più sussistere se ci si convince che tra le due discipline non vi è nessun nesso, tranne quello, peraltro non irrilevante, di essere ambedue sotto il vincolo dell’unità e dell’integrazione del sapere pur avendo ciascuna un autonomo ambito di ricerca e di riflessione e disponendo di propri statuti epistemologici.
In realtà la divergenza è tra fondamentalismo religioso e scientismo. Ambedue grondano assiomi diffusi dai media, particolarmente dalle tv, nell’opinione pubblica, specie nella parte di essa culturalmente meno provveduta.
Gli scienziati sanno come tenere distinti gli ambiti di competenza della scienza e della teologia che però alleandosi entro le proprie indipendenze si salvano a vicenda dai rischi del fondamentalismo.
La teologia salva la scienza dal ritenersi l’unico modo di conoscere la realtà e la scienza salva la teologia dal considerarsi di essere depositaria di tutte le verità.
Tuttavia nel concreto teologia e scienza devono avere scarsi rapporti operativi. Non a caso uno scienziato credente come Faraday diceva: ”Quando entro in laboratorio devo dimenticarmi di essere cristiano e quando entro in chiesa di essere scienziato”, una affermazione che chiarisce bene quali devono essere gli atteggiamenti mentali dello scienziato.
Peraltro è ormai pacificamente acquisito il dato della inscindibilità tra i vari rami del sapere, dunque anche di scienza e di teologia, dal non poter non ricorrere alla prassi della interdisciplinarietà, e ciò non solo per pervenire a esiti che resistano alla verificabilità ma anche perché la scienza e la teologia non possono fare a meno l’una dell’altra, quasi un ”simul stabunt, simul cadent”.
Non meno accattivante, anche se apparentemente non prossimo all’odierna tendenza a esaltare un pragmatismo meramente avaloriale, il contributo di don Aime, che si è particolarmente soffermato sulla necessità di una rinnovata attenzione al tema della Creazione, attenzione che necessita dell’ineludibile supporto biblico e precisamente della Genesi, dalle lettere ai Romani, agli Efesini, ai Colossesi, dal celebre prologo di Giovanni e dall’Apocalisse.
Ma la Creazione non è data una volta per tutte, anzi è ”in progress” nella liturgia, nella ammirazione del mondo – i gigli del campo, gli uccelli del cielo – nell’umana creatività, nella prospettiva dei cieli e delle terre nuovi dove abiterà la giustizia, nell’etica tutta nuova della conservazione del creato, nel riconoscere il carattere divino e umano della creazione, nella musica, nell’arte, nella poesia da Dante in poi sino a questa lirica di Gerald Manlley Hopkins: ”Il mondo è carico della grandezza di Dio./Fiammeggerà, come fulgore da percossa lamina;/s’addensa, ingrandisce, come gocciolio d’olio/franto. Perché dunque l’uomo non teme la sua verga?/Generazioni hanno calpestato, calpestato, calpestato;/e tutto è arso dal commercio;offuscato, insozzato dalla fatica;/e porta lordume d’uomo e ha lezzo d’uomo; il suolo/è nudo ora, né sente piede, essendo calzato./ma non per questo la natura è spenta;/vive in fondo alle cose la frescura più cara;/ e sebbene l’ultima luce del nero occidente partisse/ho il mattino, dall’orlo bruno d’oriente, sorge/perché lo Spirito Santo sopra il curvo/mondo cova con caldo petto e con ah! luminose ali”.