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Vittorio Bachelet, la sua testimonianza è viva

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12 Febbraio 2015

di VITO D’AMBROSIO

Trentacinque anni fa, il 12 febbraio 1980 le Brigate Rosse uccisero, con numerosi colpi di arma da fuoco, Vittorio Bachelet, mentre scendeva la scale della facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Roma dopo una lezione di diritto amministrativo.

Bachelet era vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, ed era stato esponente di rilievo dell’Azione cattolica, fino a diventarne presidente per un periodo non breve in epoca postconciliare. A Bachelet si deve un impegno tenace e convinto per la “scelta religiosa” dell’Azione cattolica con la quale venivano, fra l’altro, fortemente allentati, e poi sciolti, i vincoli tra impegno di fede e collateralismo con il partito dei cattolici, scelta di apertura, in consonanza con l’insegnamento conciliare.

Ma Bachelet non fu ucciso per il suo impegno profetico nel laicato cattolico. Le Brigate Rosse, quasi certamente, lo scelsero come bersaglio sia perché rappresentante di una istituzione strutturalmente nemica del terrorismo, la magistratura, sia, e forse soprattutto, perché esponente di rilievo della schiera di servitori delle istituzioni, che, con la loro azione esemplare, interpretavano al meglio lo spirito e il volto progressista dello Stato, esistente accanto ai tratti autoritari ed oppressivi, pur innegabili, che secondo la follia terroristica dovevano spingere i cittadini oppressi alla rivoluzione armata.

Bachelet, insomma, come altre figure di rilievo, era la dimostrazione vivente dell’esistenza di uno Stato altro rispetto alle caricature dei deliranti proclami terroristici, la Repubblica nata dalla Costituzione antifascista, che, nel suo primo articolo, definisce l’Italia “una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.

Questo il messaggio e l’esempio di Vittorio Bachelet, messaggio ed esempio oggi più che mai vivi e necessari nel nostro disorientato Paese.