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Il Sinodo diventa un “piccolo Concilio”

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19 Settembre 2018

di DON GIOVANNI TANGORRA
ecclesiologo, assistente nazionale del Meic

Il “sinodo dei vescovi” ha celebrato i suoi cinquant’anni nel 2015. Se ne era parlato durante i dibattiti del Vaticano II e già Giovanni XXIII aveva previsto qualcosa del genere, ma fu Paolo VI a istituirlo, il 15 settembre 1965, con la lettera Apostolica Sollicitudo.

La novità suscitò grande interesse, anche perché dava concreta attuazione al voto conciliare di equilibrare il rapporto tra episcopato e primato. Più che “episcopale”, il sinodo ha però un chiaro orientamento “papale”, avendo il principale compito di «informare e dare consigli» al romano pontefice. Ciononostante: è servito a richiamare i vescovi alla loro responsabilità nei confronti della comunione di tutte le Chiese; ha determinato un’unione più stretta tra sede centrale e periferie locali; con le sue 27 assemblee ha posto sotto i riflettori problemi rilevanti per la vita delle Chiese.

Nella Pastores gregis, Giovanni Paolo II ne riconobbe i difetti, peraltro attestati dalle diverse revisioni degli statuti regolativi. L’ultimo è quello che papa Francesco ha promulgato in data odierna: la costituzione apostolica Episcopalis communio.

Il documento comprende due sezioni: la prima di natura teologica (nn. 1-10), la seconda di tipo giuridico (27 articoli). Si possono trovare conferme e aggiornamenti delle disposizioni precedenti, ma anche nuove accentuazioni. Per segnalarne alcune: l’ottica missionaria (n. 1); la volontà di collegarsi «idealmente all’antica e ricchissima tradizione sinodale della Chiesa, tenuta in grande onore soprattutto nelle Chiese d’Oriente» (n. 3); la convinzione che la sinodalità (e dunque l’istituto sinodale) contribuisce alla “conversione del papato” e al «ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani» (n. 10); la valorizzazione della fase di consultazione del popolo di Dio nelle Chiese particolari (art. 6); la regolazione di un sinodo con potestà deliberativa (caso già previsto dal canone 343 del Codice di Diritto canonico), con una maggiore considerazione dei suoi documenti finali (cfr. gli articoli 17-18); la possibilità di aggiungere alle tre forme classiche dell’assemblea sinodale (ordinaria, straordinaria, speciale), una di «natura ecumenica» (art. 1,3).

Un’impressione generale è che il papa abbia voluto conferire al sinodo dei vescovi l’aspetto di un concilio in miniatura, nella consapevolezza, comunque, che tra le due realtà c’è una distanza enorme, perché un concilio ha una teologia specifica e assolutamente originale. Uno degli aspetti più interessanti è il legame che il documento stabilisce con la sinodalità dell’intero popolo di Dio. In fondo era questo il problema principale, poco considerato anche nei regolamenti precedenti. Una communio episcoporum fondata su se stessa e non sulla communio fidelium rischia di diventare un’astrazione.