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Biotestamento: per una cura condivisa

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di PAOLO BENCIOLINI

Il “biotestamento” è legge. Il Senato ha approvato ieri, senza alcuna modifica, il testo trasmessogli dalla Camera il 21 aprile scorso. Manca dunque solo l’atto di promulgazione da parte del Presidente della Repubblica.

Al di là della formula giornalistica (“biotestamento”), una lettura culturalmente intelligente del testo suggerisce di iniziare dall’art. 5 ( “Pianificazione condivisa delle cure”) che propone lo stile del rapporto tra operatori sanitari e persone ammalate affette da “patologie croniche e invalidanti o ad evoluzione con prognosi infausta”, nel rispetto dei principi costituzionali (richiamati nell’apertura dell’art. 1) che garantiscono i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2), il diritto alla libertà personale (art. 13) e il divieto di atti sanitari senza il consenso dell’interessato (art. 32).

Questo nucleo fondamentale sta alla base delle norme sul “consenso informato” (art. 1), comprendenti il diritto di rifiutare qualsiasi accertamento diagnostico o terapeutico (compresi la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale) ma che postula il dovere di una informazione adeguata che esige, a sua volta, una relazione di fiducia nella quale “si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”. Particolari previsioni di tutela riguardano il consenso in caso di minore o incapace, valorizzando comunque le rispettive capacità di comprensione e di decisione (art. 3). Il tema delle Disposizioni anticipate di trattamento (DAT) si inserisce in tale contesto e viene sviluppato (art. 4) introducendo la figura del “fiduciario” con il compito di rappresentare chi le ha espresse “nelle relazioni con il medico e le strutture sanitarie”. Il medico, a sua volta, è tenuto al rispetto delle DAT che possono essere disattese, “in accordo con il fiduciario, solo qualora appaiano palesemente incongrue o non rispondenti alla condizione clinica attuale o sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita” . Ma la stessa formulazione delle DAT va inserita nella pianificazione condivisa delle cure, che può consentire una adeguata preparazione a scelte così impegnative. Un apposito articolo (il 2) richiama la legge n. 38/2010 sulle cure palliative, intese non solo come terapia del dolore ma volte anche al sollievo della sofferenza e comprendenti anche la sedazione profonda.

Questa è la prima legge che affronta temi finora confinati nelle pronunce giurisprudenziali, come il consenso all’atto medico e il rifiuto di prestazioni anche se ritenute opportune da parte del medico, i contenuti dell’informazione e le modalità della relativa comunicazione, l’adesione ai trattamenti sanitari da parte di minori o incapaci, e infine, ovviamente, le disposizioni anticipate di trattamento.

Va sottolineato che questa legge ha recepito importanti e meditate istanze di carattere bio-etico e bio-giuridico maturate ed espresse a vari livelli in questi anni (tra gli altri, dal Comitato Nazionale di Bioetica, dal Cortile dei Gentili e dal Gruppo di lavoro “Undirittogentile”. Né si può dimenticare l’apporto degli ordini delle professioni sanitarie, in particolare degli infermieri e dei medici, i cui codici deontologici hanno anticipato formulazioni e contenuti che ritroviamo oggi nella legge. Tra gli altri, la felice espressione “Il tempo della comunicazione è tempo di cura” (ora inclusa al comma 8 dell art. 1), come pure l’istanza di una formazione continua anche su questi temi (art. 1 comma 10).

Infine appare giustificata la disposizione (art. 1 comma 6) che solleva il medico da responsabilità civile e penale qualora decida di rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo. Ma non si tratta, come da taluni è stato paventato, di un “abbandono terapeutico”, perché questa legge è ricca di indicazioni di segno contrario: dalla pianificazione condivisa delle cure (art. 6) alla previsione che sia “promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico” e gli altri operatori sanitari “che compongono l’équipe sanitaria”.

(Paolo Benciolini è ordinario di Medicina legale all’Università di Padova, già membro del Comitato Nazionale di Bioetica, presidente del Comitato etico per la pratica clinica dell’Azienda ospedaliera di Padova)

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