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Un fuoco dalla cenere

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di DON GIOVANNI TANGORRA

L’anno liturgico nasce da una graduale estensione della Pasqua, evento fondatore e centro della fede cristiana. Secondo alcuni autori, già i racconti evangelici della passione rispecchierebbero la prassi di un “triduo” allargato. A esso si è in seguito aggiunto una “Quaresima” che, richiamandosi alla simbologia biblica dei quaranta giorni (come quelli di Cristo nel deserto), ha assunto la fisionomia di un periodo penitenziale, in preparazione alle solennità pasquali. Se ne hanno notizie al concilio di Nicea (325), che dà l’interessante raccomandazione di farla precedere da sinodi di rappacificazione.

Com’è suo solito, la liturgia sceglie il linguaggio simbolico, e apre la Quaresima con «l’austero simbolo delle ceneri». La più antica formula del rito d’imposizione l’associa alla polvere, citando Gen 3,19: «Ricordati che sei polvere, e in polvere tornerai». Non è solo il memento mori, ma una presa di coscienza dei propri limiti. Nel tempo dei superuomini e dei suprematismi, dove il male del secolo diventa la mania di onnipotenza, non è fuori luogo rammentarsi di quello che si è realmente, e cioè polvere e cenere. Nella Scrittura, la cenere evoca la distanza tra l’uomo e Dio (Gen 18,27). Siamo fumo e scintille, «chi oggi è re, domani morirà» (Sir 10,10), l’esistenza è il fragile «passaggio di un’ombra» (Sap 2,5).

La cenere è soprattutto un simbolo penitenziale. Daniele confessa i peccati del popolo vestendosi di «sacco e cenere» (9,3), e i niniviti fanno lo stesso all’annuncio di Giona (3,6). Solo chi è onesto con Dio e con se stesso può capire la verità di questi passaggi. Nella mentalità antica la responsabilità ha un’eco collettiva, per cui si mostrava all’esterno ciò che si era diventati dentro, e il peccatore è uno che ha «il cuore in cenere» (Sap 15,10). Gesù criticherà i formalismi e chiamerà tutti alla conversione del cuore, ponendo la condizione del perdono reciproco (Lc 17,3-4). La riforma liturgica ha voluto rafforzare questi aspetti, proponendo una nuova formula al rito dell’imposizione: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15).

La conversione è la decisione di cambiare rotta (metànoia), che si realizza confidando nel lieto annuncio di Gesù Cristo. L’aspetto critico è riconoscere l’esistenza del peccato, benché non sia difficile avvertirlo, nel clima tossico e distruttivo, non solo ecologico ma esistenziale e relazionale. C’è un momento in cui è necessario chiedersi: che mondo vogliamo costruire. Spesso è più facile puntare il dito che battersi il petto, ma non si esce dal peccato negandolo bensì confessandolo. «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te». Ed è allora, mentre sei in ginocchio, con la testa tra le mani, che si prova l’emozione di un abbraccio. «Io vi dico: vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte» (Lc 15,7).

La cenere è anche simbolo di afflizione, del dolore innocente che prostra l’esistenza dei poveri. «Cenere mangio come fosse pane, e alla mia bevanda mescolo il pianto» (Sal 102,10). È la condizione di Giobbe, l’uomo della cenere ribelle, che fa della discarica il suo trono, grattandosi con un coccio (2,8). Egli si serve del grido per squarciare il muro pulviscolare di chi oscura la sua dignità. Il grido del povero scuote anche il cielo, perché protesta contro il silenzio divino, senza perdere la fiducia del riscatto. «Mi ha gettato nel fango: sono diventato come polvere e cenere. Io grido a te, ma tu non mi rispondi, insisto, ma tu non mi dai retta. Sei diventato crudele con me e con la forza delle tue mani mi poni a cavallo del vento» (30,19-22).

La cultura antica ha intravisto nella cenere anche qualcosa di luminoso, come nel racconto della fenice che, divenuto un simbolo cristiano, evocava l’elevazione spirituale del credente. L’uccello di fuoco che risorge dalle ceneri con un battito d’ali, rappresentava il fedele che si liberava dalla colpa attraverso le ali dello Spirito Santo. La nostra cenere non è mai del tutto spenta, chi scava con amore riuscirà a riaccenderla. Isaia vede il giorno messianico nell’atto di donare diamanti anziché cenere: «Il Signore mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori, per dare agli afflitti una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto» (Is 61,1-4).

La Quaresima è un tempo favorevole. Viviamola insieme, come popolo di Dio, con l’entusiasmo di chi sa perdonarsi e crede nella possibilità di riscostruire la città desolata, di chi prova la gioia di correre, verso Cristo risorto.