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Europa, adesso non tiriamo il freno

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di BEPPE ELIA

Il Parlamento europeo esce profondamente rinnovato da queste elezioni: ancor più frammentato, con un sensibile dimagrimento dei due partiti principali, con il rafforzamento delle forze sovraniste, con una crescita importante dei movimenti ambientalisti.
La buona notizia è che il voto ha premiato, nel suo insieme, i raggruppamenti europeisti , a conferma che, nonostante alcune spinte disgregatrici, l’Europa continua ad essere un progetto ampiamente condiviso. E vi è da pensare che il PPE, in cui convivono molte anime (fra cui quella fortemente nazionalista e illiberale del primo ministro ungherese), non siederà nella maggioranza con le forze sovraniste, per ragioni di numeri ma soprattutto per il suo radicamento europeista.
Ciò che non sappiamo è quale sarà la politica di questo nuovo Parlamento e che cosa comporterà il necessario allargamento della maggioranza. Vi è da sperare che non vi sia, per timore di perdere consensi, un rallentamento del processo di integrazione e di crescita dell’Europa; sarebbe davvero un guaio, che, per inseguire sul loro terreno, i movimenti identitari e le forze politiche che ne interpretano i sentimenti e le pulsioni, si smarrisse lo spirito originario di questo progetto incompiuto e sempre a rischio di essere tradito.
Nelle prossime settimane, analizzando il voto, capiremo meglio anche i segnali che inducono maggior ottimismo, in particolare che cosa significa il successo dei verdi: voglio sperare che esso sia l’espressione del desiderio di cambiamento soprattutto dei più giovani, e che essi immettano nel dibattito politico temi e sensibilità che faticano ad emergere nei partiti più tradizionali.
Guardando al voto in Italia, il successo innegabile della Lega apre scenari imprevedibili, ma certamente inquieta per i modi con cui esso è stato costruito e per i contenuti dell’azione politica che lo ha accompagnato. La Lega ha scelto di immergersi dentro le preoccupazioni delle persone, i timori, le domande cui non si era data risposta, per offrire risposte nette, rassicuranti, con un piglio decisionista che ha fatto breccia. Rimane però un Paese diviso, rissoso, esposto ai venti di scelte economiche discutibili e che dovranno presto fare i conti con la dura realtà.
Il Partito democratico, dal canto suo, trae una boccata d’ossigeno da questo voto, ma vorrei non ci si illudesse: il numero assoluto di coloro che l’ha votato si è ancora (di poco) assottigliato, e la sua ricostruzione appare appena agli inizi e contrappuntata da segnali incerti, poiché riemergono crepe che la campagna elettorale aveva coperto. Ho l’impressione che ci si attesti troppo a domandare se occorra di più guardare a sinistra o al centro, quando bisognerebbe guardare avanti: nel tempo, per dare risposte alle generazioni emergenti e nello spazio, per camminare nuovamente in territori dimenticati.

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