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Serve una giornata della memoria?

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Serve una giornata della memoria? “Serve, ma la memoria …è destinata ad attenuarsi e lentamente a svanire in un indistinto passato”.

E questo succederà inevitabilmente quando non saranno più vivi i testimoni diretti di quegli orrori. Ma è inaccettabile anche il negazionismo così diffuso dell’indifferenza.

Il breve passaggio della recente intervista di Corrado Augias a Liliana Segre mette a fuoco un aspetto centrale del significato della giornata del 27 gennaio, giornata della memoria per le vittime dell’Olocausto, così come delle altre giornate che, nel corso dell’anno, ricordano orrori vissuti dall’umanità (il 10 febbraio i morti nelle foibe, il 24 aprile il genocidio armeno, il 6 agosto la bomba di Hiroshima, il 23 agosto il patto nazi-sovietico di spartizione della Polonia).

Stiamo constatando proprio in questo tempo come i buchi neri della storia, al di là dei “mai più” e dei memoriali, si stiano riaprendo in un presente in cui la comunità umana, confusa e fragile, rischia di soccombere nuovamente e banalmente a un male assoluto. Quanto ci sta accadendo intorno, anche tanto vicino, dà sufficiente evidenza a queste affermazioni.

Ma, per tornare alla domanda iniziale, che cosa significa fare memoria? La risposta potrebbe stare nel cercare la verità della storia, con l’atteggiamento di non pronunciare giudizi inappellabili, di non esaltare e nemmeno di condannare. Perché solo l’onesta ricerca della conoscenza storica può aiutare quella memoria che ispira la prevenzione di nuovo male.

Per restare proprio nel contesto della giornata del 27 gennaio ci sembra fondamentale quanto osserva Gabriele Nissim:

“Quando si visita Aushwitz e si vede da vicino la macchina dello sterminio, la condanna giunge istintiva. Ma non si crea una consapevolezza di come si è arrivati a quel punto. È un grande vuoto che bisogna colmare per svolgere la necessaria opera di prevenzione, per insegnare a tutti, in primo luogo ai giovani, a riconoscere i semi del male. Finora non lo si è fatto abbastanza”.

Rosetta Frison