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Beppe Elia: il coraggio di sperimentare

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di STEFANO BIANCU

Credo che il nostro presidente Luigi D’Andrea abbia colto nel segno quando ha voluto ricordare Beppe Elia, scomparso lo scorso 20 gennaio, come un presidente dalle scelte coraggiose e sagge tese a innovare le forme e i modi del Meic senza mai comprometterne la fedeltà al carisma originario.

Del desiderio di Beppe di rinnovare profondamente il Meic sono stato testimone privilegiato tra il 2017 e il 2021, essendo stato uno dei suoi vicepresidenti.

Sono stati per lui anni impegnativi, nei quali Beppe – già malato e sotto pesanti cure – si è speso con generosità e con quello stile mite e sereno che tutti abbiamo imparato a riconoscere e ad apprezzare. Beppe non si risparmiava: né in spostamenti, affrontati a proprie spese, né in termini di tempo. Dedicava tantissime energie e tantissimo tempo al Meic: agli incontri con i singoli e con i gruppi, all’interno e all’esterno del Movimento. Quando, in piena pandemia, si decise di organizzare un ascolto dei gruppi per avere il polso di come questi stessero affrontando le sfide di quel momento difficile e di come li si potesse eventualmente sostenere, Beppe fu l’unico di noi della Presidenza nazionale che resse fisicamente il peso di tre lunghissime riunioni online, rispettivamente coi gruppi del sud, del centro e del nord. Io, durante la seconda riunione, mi ruppi un menisco a causa di un movimento sbagliato nell’alzarmi dalla sedia dopo molte ore: dovetti essere operato e saltai dunque la terza riunione. Beppe partecipò a tutte e tre dall’inizio alla fine. Riuscimmo giusto a dissuaderlo dal ripetere l’esperimento: ci dette ascolto senza troppa convinzione.

In quegli anni Beppe contribuì a finanziare personalmente varie iniziative del Meic nazionale: ci parlava con pudore di un anonimo benefattore, ma era chiaro a tutti noi che parlava di sé stesso.

Ma non è tanto la sua generosità che vorrei sottolineare: Beppe stesso non approverebbe, tanto poco gli si addicevano le celebrazioni (compleanni compresi). Vorrei piuttosto provare a dettagliare meglio quel suo desiderio di rinnovare il Meic che Luigi D’Andrea ha colto così bene: è lì che Beppe ci ha lasciato un’eredità che sta a noi oggi raccogliere.

Beppe era convinto che fosse giunto il momento di superare le forme classiche dell’associazionismo cattolico e dell’impegno laicale organizzato. Si tratta di mondi che conosceva bene, avendo egli militato e ricoperto ruoli di responsabilità in numerose realtà associative ed ecclesiali, a Torino e non solo. Beppe era giunto alla conclusione che le forme tradizionali di quell’associazionismo fossero divenute col tempo disfunzionali e che fosse giunto il momento di sperimentarne di nuove. In mancanza di alternative non si trattava di abbandonare le forme classiche – organizzazione e radicamento locali, tesseramenti e adesioni, netta separazione tra realtà ecclesiale e realtà socio-politica – ma di abbandonare ogni timore e ogni resistenza nello sperimentarne di nuove, anche esponendosi al rischio di qualche fallimento. Solo una sperimentazione libera e creativa avrebbe creato le condizioni per la maturazione – col tempo – di vie nuove.

Questa sua attitudine mi fu da subito evidente nei settori di cui mi chiese in particolare di occuparmi come vicepresidente: l’ambito della comunicazione e quello delle generazioni più giovani. Nel primo campo si era già avviata, per volontà di Beppe, una sperimentazione molto promettente fin dal triennio precedente, che aveva portato a un radicale rinnovamento della rivista “Coscienza”, divenuta più incisiva e leggibile. Quella sperimentazione aveva tuttavia messo in luce alcune criticità: si trattava ora di portarla a compimento rendendo il tutto più sostenibile con le scarse risorse a disposizione del Meic. Per un verso si semplificò il lavoro redazionale, per altro verso si invitò l’intero Movimento a sentirsi corresponsabile della rivista. Si portò inoltre a compimento il rinnovamento del portale internet del Meic, voluto più “estroverso” rispetto al passato e funzionale all’idea di un Movimento proiettato verso l’esterno e non ripiegato su sé stesso.

Ma fu sul fronte delle generazioni più giovani che si mise in atto la sperimentazione forse più coraggiosa, con l’apertura di un gruppo Meic formato da giovani provenienti da tutta Italia e avente come riferimento ideale il monastero di Camaldoli. Si trattava di una forma completamente nuova e inedita di gruppo Meic. Beppe volle e sostenne convintamente l’iniziativa, che molto dovette alla generosa disponibilità del monaco Matteo Ferrari.

Molti altri furono i fronti di sperimentazione. Dal punto di vista dei contenuti, ricordo soltanto il convegno dei presidenti sul tema della cultura – per riappropriarsi del nostro carisma oltre ogni riduzione a impegno salottiero – e le numerose iniziative su sinodalità e democrazia, un binomio che di per sé rappresenta la quintessenza della sperimentazione creativa.

Molti sono poi stati gli incontri e le interlocuzioni avviate da Beppe con esponenti di altre associazioni alla ricerca di vie nuove. A molti di quegli incontri ho partecipato io stesso e posso dunque testimoniare la convinzione e l’impegno messi da Beppe nel tentare sinergie capaci di produrre reali novità e nel superare la logica, ai suoi occhi sterile, delle appartenenze. Era una specie di nemesi: l’ingegnere torinese, esperto di isolamenti termici e acustici, lavorava sempre nella logica delle aperture, dell’ascolto, del lasciare entrare aria nuova e fresca.

Quali frutti ha portato tutto quel dinamismo innovatore? Al termine del triennio – trasformato in quadriennio dalla pandemia – mentre io avvertivo una certa frustrazione per non essere riusciti in tante cose, vedevo Beppe molto stanco ma anche molto sereno. Per dirla con le parole di un famoso discorso di De Gasperi, Beppe era capace di “pazienza verso le lentezze dell’uomo”. Poche persone erano capaci di fargliela perdere, quella pazienza. Quando questo accadeva, ci si divertiva a farglielo notare: “Beppe, finalmente: sei umano anche tu!”.

Quando fummo ricevuti da papa Francesco, il papa piemontese come lui, ci sentimmo incoraggiare a sperimentare senza paura: fu per Beppe e per tutti noi la conferma che la strada intrapresa era buona. Quella strada spetta oggi a noi continuarla. Beppe è con noi e ci accompagna dal cielo.