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#DISTANTIMAUNITI Dio del Tempio o Dio dell’Esodo?

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di GIUSEPPE FLORIO

In questi ultimi due mesi le nostre chiese, come tutti gli spazi di aggregazione pubblica, sono state chiuse alla partecipazione collettiva, come misura di prudenza per la salvaguardia della salute pubblica. Si è trattato di un evento unico nel suo genere, proporzionale alla minaccia di una pandemia, ma che penso rappresenti un’occasione di riflessione da non perdere.

Certo, sappiamo che le comunità cristiane hanno bisogno di ritrovarsi nei luoghi di culto sparsi sul territorio. Agli inizi del cristianesimo, le primissime comunità si congregavano nei cortili delle case, non esistevano luoghi di culto, ma oggi evidentemente non sarebbe questa l’unica soluzione da proporre, né la più auspicabile.

Tuttavia questo ‘silenzio liturgico’, questa assenza di celebrazioni può suggerirci di ripercorrere brevemente le caratteristiche del rapporto di un credente con il luogo di culto. Con il ‘tempio’.

Potremmo cominciare da lontano, addirittura con il re Davide.

Dopo aver costruito la sua casa, il re pensa che sarebbe doveroso offrire una ‘abitazione’ anche al Dio dell’Arca. Restano per sempre molto significative le parole che il profeta Natan rivolge a Davide: “Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io infatti non ho abitato in una casa da quando ho fatto salire Israele dall’Egitto fino ad oggi; sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione (2Sam 7, 5-6).

Il Dio dell’Esodo viene intuito come il Dio della tenda. Non è il dio statico e sedentario dei culti delle popolazioni con divinità agrarie. Nessun Tempio può ‘contenere’ Dio. Perché Dio è nomade, è sempre in cammino con quanti camminano. E’ vicino ai nomadi, a coloro che sempre hanno bisogno di reinventarsi. Nei testi di Isaia e di Geremia troviamo a volte una sensibilità molto simile.

Nel nuovo Testamento, la questione del Tempio occupa un posto centrale.

Nel giudaismo, Gerusalemme doveva il suo splendore e anche la sua prosperità proprio alla presenza del Tempio, che ne rappresentava il centro: là abitava Dio, là bisognava andare per avere perdono e riconciliazione. Come mai Gesù di Nazareth ha avuto uno scontro frontale, e mortale, proprio con quel modello di religiosità? Non ha infatti esitato a definire il Tempio “una spelonca di ladri” (Mt 21, 12-13). Quanto è significativo che tutti e tre i vangeli sinottici scrivano che alla morte di Gesù il velo del Tempio si squarciò da cima a fondo (Mt 27, 51). Era finita la mediazione che quel Tempio pretendeva di offrire al popolo. E come mai, Stefano, il primo martire cristiano, fuori dal recinto del Tempio, afferma a gran voce: “L’Altissimo non abita in costruzioni fatte da mani d’uomo” (At 7, 48).

Per tanti motivi che qui non è il caso di esporre, le prime comunità cristiane (ad eccezione del gruppo dei giudeo-cristiani) hanno pensato che il Tempio andava abolito. Perché?

Perché ormai il nuovo Tempio era la persona stessa di Gesù, il Cristo, morto e risorto. Iniziava un tempo in cui la presenza di Dio non era più da cercare in un luogo, in uno spazio sacro.

Proviamo a pensare a quante implicazioni, anche ecclesiologiche, può avere una simile impostazione.

Anche nel vangelo di Giovanni si afferma che il vero culto è quello in “spirito e verità” (Gv 4, 23): non più, quindi, in un luogo sacro ma prima di tutto nella vita, di amore e di servizio, come aveva fatto lo stesso Gesù e in comunione con lui.

A questo proposito, nei vangeli si constata che Gesù quando vuole pregare non sceglie uno spazio ‘sacro’ ma ‘profano’: si ritira in luoghi solitari, sceglie la solitudine. E consiglia ai discepoli di non prediligere la piazza affollata per vivere la dimensione della preghiera (e ancor meno la televisione … magari per recitare un ‘eterno riposo’ a scopo pubblicitario!) preferendo invece il silenzio raccolto della propria stanza (Mt 6, 6).

Se poi leggessimo la lettera agli Ebrei, vedremmo ripreso il tema della Tenda “non costruita da mani d’uomo (Eb 9, 11), cioè il Cristo stesso, nella sua morte per la salvezza di tutti. Ancora una volta è in lui che può essere trovato il nuovo modo di relazionarsi con Dio.

In tutto il Nuovo Testamento è nelle lettere di Paolo l’affermazione che la comunità stessa è il Tempio dei cristiani (1Cor 3, 16-17). Come mai un simile accostamento? Perché la comunità ha ricevuto la Parola, e lo Spirito la vivifica e la rende feconda. Perché la comunità ha un fondamento, che non è un ‘luogo’ sacro ma Cristo Gesù. Perché la comunità è nata sulla Parola, su un annuncio. E perché conserva e celebra la memoria di uno scandalo, quello della croce, che nessuno potrà mai umanamente spiegare. Ecco il segreto di questo nuovo ‘Tempio’ costruito non da mani d’uomo. Ma se dovesse accadere, se accade, che la comunità non può celebrare il dono gratuito di quello scandalo, nessuno mai potrà cancellarne la memoria dal cuore dei credenti.

Forse nel breve tempo in cui non possiamo ritrovarci per celebrare, abbiamo l’opportunità unica di affrontare con coraggio una domanda radicale: abbiamo veramente fondato le nostre comunità sulla Parola? O abbiamo spesso dato solo e sempre la precedenza al culto? Papa Francesco ci ha rivolto un invito pressante: “In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia (Evangelii Gaudium, n. 95).

Stiamo vivendo un breve ‘esilio’ della ‘comunità-tempio. Oggi più che mai siamo la comunità della Tenda. Non sottovalutiamo l’opportunità che ci viene offerta. Ritornando al profeta Natan, niente ci impedisce di vivere in sintonia con il Dio dell’Esodo. E non ci sarà deserto più forte dell’Esodo.