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Alla memoria non serve la retorica ma la conoscenza

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di MARINELLA V. SCIUTO

Quel 27 gennaio di 75 anni fa i soldati dell’armata Rossa, abbattendo i cancelli di Auschwitz-Birkenau, si trovarono di fronte alla macchina dello sterminio. Bisognerebbe che oggi ciascuno di noi provasse a mettersi nei panni di quei soldati che entrarono ad Auschwitz quel giorno d’inverno.

Una memoria vitale e feconda deve alimentarsi dalla consapevolezza di sentirci “Figli della Shoah”, proprio noi che siamo sempre più lontani da quegli eventi e che non abbiamo vissuto quella storia, siamo proprio noi gli eredi di un passato che ci riguarda tutti come europei e che ci costringe a demitizzare alcuni stereotipi diffusi nella memoria collettiva come quello di “italiani, brava gente”, e dei “tedeschi, cattivi e brutali”. La Shoah allora smette di essere un incidente di percorso, un improvviso deragliamento dell’Europa civile e progredita e ci costringe a fare i conti con i nostri “vuoti di memoria” facendoci incontrare le categorie storiografiche di “antisemitismo passivo”, di “shoah italiana”, di “campi del duce”.

A vent’anni dalla Legge di istituzione del Giorno della memoria, legge n. 211 del 20 luglio 2000, è il caso di ribadire che le sue finalità non consistono nella celebrazione o commemorazione ma nella conoscenza dei fatti. Il pericolo, infatti, della retorica del “mai più” risulta essere quello più ambiguo e beffardo, in una società come quella europea – senza dimenticare l’America di Trump – che deve confrontarsi con episodi sempre più frequenti ed efferati di intolleranza, xenofobia e antisemitismo. Risulta pertanto assai opportuno l’invito dei giorni scorsi, rivolto da David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, agli Stati membri dell’Unione Europea a prevenire gli atteggiamenti discriminatori contro le minoranze.

In Italia, si segnalano due importanti novità istituzionali nella strategia di contrasto agli hate speech: la nascita, seppur non indolore, nell’ottobre scorso, della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, promossa dalla senatrice a vita Liliana Segre; la nomina, nei giorni scorsi, da parte del Consiglio dei Ministri, della prof.ssa Milena Santerini a coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo. Occorre infatti puntare su una sinergia convergente tra associazioni, comunità ebraiche e istituzioni della Memoria. Da rilanciare e approfondire, in questo contesto di crisi e di emergenza, il dialogo tra cattolici ed ebrei. A tal proposito Papa Francesco ha ribadito: «Il Concilio, con la dichiarazione Nostra Aetate, ha tracciato la via. “Sì” alla riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo; “no” ad ogni forma di antisemitismo e condanna di ogni ingiuria», posizione ribadita in occasione dell’udienza, il 20 gennaio scorso, della delegazione del “Simon Wiesenthal center”. L'”infezione latente” dell’antisemitismo, di leviana memoria, si combatte con l’educazione alla tolleranza e alla comprensione reciproca, alla libertà di religione e alla promozione della pace sociale.