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La stagione dei vescovi-parroci

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di SIMONE ESPOSITO

«I vescovi di Milano hanno nomi solenni: Angelo, Dionigi, Carlo Maria, Giovanni, Giovanni Battista, Alfredo Ildefonso… ora voi direte, “ma Mario, che nome è?”. Si capisce che sono inadeguato. Io sono stato tutta la mia vita qui a Milano, non potrò essere una sorpresa: tutti mi conoscono, si saranno fatti un’idea, credo che dicano, come lo penso io, “sì, è un brav’uomo, ma arcivescovo di Milano…”».

Si è presentato così questa mattina il nuovo successore di sant’Ambrogio, Mario Delpini, il vescovo chiamato da papa Francesco a guidare la più grande diocesi d’Europa. Che poi è la sua, da sempre: per nascita, per sacerdozio, per ministero episcopale (fino ad oggi è stato ausiliare e vicario generale del cardinale Scola). Un curriculum quasi scarno rispetto a quelli dei “solenni” predecessori: un “impiegato di Curia” (definizione sua), un predicatore amato dalla gente e soprattutto un prete fra i preti, rettore del seminario, responsabile della formazione del clero.

E’ lo stesso tratto condiviso dall’altra recentissima nomina episcopale compiuta dal papa, quella del vicario di Roma, monsignor Angelo De Donatis, anche lui poco blasonato, anche lui fino a ieri vescovo ausiliare delegato alla formazione dei sacerdoti, anche lui molto apprezzato dal suo complesso e variegato presbiterio. Una scelta che non può essere un caso, soprattutto dopo la storica visita a Bozzolo: «Ho detto più volte – aveva affermato Francesco sulla tomba di Mazzolari – che i parroci sono la forza della Chiesa in Italia, e lo ripeto. Quando sono i volti di un clero non clericale, come quest’uomo, essi danno vita ad un vero e proprio “magistero dei parroci” che fa tanto bene a tutti».

La scelta di Delpini e quella De Donatis hanno anche un’altra cosa in comune: entrambi i nomi, riportano gli osservatori, sono stati quelli più suffragati nelle consultazioni preventive svolte nelle rispettive diocesi (a Milano informalmente, a Roma su richiesta esplicita di Francesco ai parroci prefetti). E’ un elemento interessante, che forse lascia intravedere qualcosa di nuovo, o meglio, di antico: la volontà di tenere maggiormente conto delle proposte e delle esigenze delle Chiese locali, anche su questioni fondamentali (e riservate di diritto al papa) come l’elezione del vescovo. Fosse così, sarebbe una rivoluzione, dopo decenni di centralizzazione evidente della cosiddetta “fabbrica dei vescovi”, denunciata già quasi 30 anni fa dalla “Dichiarazione di Colonia”, con la quale 163 teologi protestarono contro la scelta di Giovanni Paolo II di abrogare la regola per cui la nomina dell’ordinario della diocesi tedesca doveva avere il placet del capitolo cattedrale.

Insomma: continua la marcia di Francesco verso una dimensione più sinodale della Chiesa. E continua coltivando un’alleanza più stretta con i sacerdoti, anche perché il magistero del papa ha troppo bisogno del “magistero dei parroci” per realizzare il programma di Evangelii gaudium.