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Educare al bene comune

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Riceviamo e pubblichiamo questo contributo di Maria Scalisi, teologa, socia del gruppo Meic romano di Sant’Ivo alla Sapienza, autrice di un volume dal titolo La Bellezza in Agostino d’Ippona. Poter educare attraverso il bello sensibile al bello immutabile con prefazione di mons. Lorenzo Dattrino, recentemente presentato proprio a Sant’Ivo alla Sapienza.

di MARIA SCALISI

Premessa

Lo stato di crisi economica che affligge molti stati, tra cui il nostro Paese, ha evidenziato nel nostro tempo l’appello alla responsabilità, all’educazione ed al bene comune. Concetti errati di mal costume e di indifferenza alla Verità ci hanno condotti sull’orlo di un baratro oltre il quale le conseguenze politiche ed economiche future non possono essere esattamente definite e misurate.

Perché oggi c’è la crisi economica? Un decennio fa la new-age ipotizzava gli anni tra il 2000 e il 2010 come l’età dell’oro, del benessere economico e sociale. Eppure la maggior parte dei cittadini, che hanno vissuto e vivono questi anni, sono stati e sono testimoni solamente di uno stato di crisi economica e morale. Del benessere e dell’oro neanche l’ombra, anzi ogni cittadino si porta dietro un fardello (parte del debito pubblico) certamente pesante e malsano per la nostra economia. I cittadini sono scoraggiati e mostrano evidenti segni di disagio, di disaffezione, diremmo quasi di ostilità alla politica come se il compito politico si potesse demandare ad altri. Ma è possibile disinteressarsi della politica?

Il Bene comune per una politica giusta

La rivista Coscienza è impegnata in un’analisi epistemologica e politica di prestigio per un fine educativo: il bene comune. Per comprendere il carattere del bene comune si richiede una valutazione basata su due criteri: uno filosofico, fondato sulla natura umana e sull’idea del bene comune, l’altro storico, poiché per comprendere il carattere della civiltà di oggi dobbiamo guardare al passato, basato sul carattere del popolo di ieri, che ha vissuto in primis le vicende politiche e storiche.

Il criterio filosofico è costruito secondo i principi di uno Stato per così dire “Ideale”, cioè giusto. Uno Stato può dirsi giusto quando in virtù del suo ordinamento interno, cioè secondo le sue strutture e le sue leggi, è in grado di procurare efficacemente il bene comune umano. La tradizione filosofica, fin dai tempi di Platone, ha sempre fatto distinzione tra Stati giusti e corrotti, secondo la struttura politica. Uno Stato può dirsi giusto quando la sua economia è ordinata al bene comune dei cittadini; il bene comune dovrebbe inoltre coincidere con il bene privato di tutti. Infatti si chiama bene comune quando il bene della collettività e il bene maggiore dei singoli vengono a coincidere. Già Cicerone nel De re publica 55 a.C. – 51 a.C. scriveva così: “Certamente esiste una vera legge: è la retta ragione; essa è conforme alla natura, la si trova in tutti gli uomini; è immutabile ed eterna; i suoi precetti chiamano al dovere, i suoi divieti trattengono dall’errore. […] È un delitto sostituirla con una legge contraria; è proibito non praticarne una sola disposizione; nessuno poi può abrogarla completamente” (Cicerone, De re publica, III, 22, 33). Nessuno infatti può sopprimere, cancellare, eliminare quella legge scritta nei cuori e finalizzata al bene. La corruzione, il relativismo, il male morale ha contaminato le coscienze umane, anche ai giorni nostri. Correre ai ripari è doveroso; educare le coscienze con tutti i mezzi possibili, anche dal punto di vista teologico – morale. A tal proposito sembra ancora valido l’insegnamento educativo di Tommaso d’Aquino (1225- 1274), il quale nei suoi scritti ripete che chi governa deve agire: “secundum virtutes” e aggiunge che in un “ordinamento civile”, quest’ultimo tradotto in termini moderni in un paese democratico, tutti i cittadini devono agire politicamente “secundum virtutes”, poiché tutti partecipano attivamente al governo della cosa pubblica: in uno Stato democratico coincide la “virtus boni civis” con la “virtus boni viri”, poiché ognuno deve essere capace non solo di muoversi secondo le indicazioni del governo altrui, ma anche di governarsi e di governare. Tommaso d’Aquino aveva osservato che il bene morale, essendo una realtà pratica, lo conosce praticamente non chi lo teorizza, ma chi lo pratica. Solo chi lo pratica sa individuarlo e quindi sceglierlo con certezza tutte le volte che viene messo in discussione. Per questo è necessario che il cittadino sia virtuoso, non solo per un’esigenza ed un perfezionamento personale o della pacifica convivenza con gli altri nella ricerca del bene comune, ma anche per un imperativo che gli viene dalla funzione che è chiamato a svolgere nella vita di tutti i giorni e per un dovere legato ai diritti politici che gli sono riconosciuti e di cui intende valersi. Per tale motivo è necessario che il cittadino si renda conto di quello che fa e si comporti secondo rettitudine. Solo in tal modo egli può affermarsi come persona civile, nella vita sociale, e può ritenersi dotato di autogoverno.

Nella politica democratica la persona umana è al centro e al vertice della vita sociale, le si concede il massimo di libertà, le si chiede di intervenire nella politica e di cooperare al bene dello Stato. Si ha giustizia quando in una società le persone beneficiano del bene comune secondo criteri di giustizia distributiva, ossia secondo una suddivisione in parte non quantitativamente uguali del bene da ripartire, ma proporzionalmente rispondenti a prestazioni e bisogni. La perequazione è stabilita non da un quantum indistintamente identico per tutti, ma è calcolato sugli apporti di ciascuno alla società e sulle necessità dei beneficiari. È giusto quindi che chi acquisisce meriti e contributi, chi ha responsabilità o qualifiche più elevate, così come chi viene a trovarsi in condizioni di indigenza, per povertà, malattia, anzianità, condizioni familiari, ecc… debba beneficiare di una parte maggiore.

L’enciclica Mater et magistra di Giovanni XXIII afferma che l’attuazione del bene comune è “la ragion d’essere” dello Stato e che i poteri pubblici sono “responsabili del bene comune” (12 e 41). Il Santo Padre Benedetto XVI nella enciclica sociale Caritas in Veritate insegna che “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona, nella sua integrità” (CiV 53) e aggiunge “non ci sono sviluppo plenario e bene comune universale senza il bene spirituale e morale delle persone, considerate nella loro interezza di anima e di corpo” (CiV 76). “Lo sviluppo è impossibile senza uomini retti, senza operatori economici e uomini politici che vivano fortemente nelle loro coscienze l’appello al bene comune e sono necessarie due cose: sia la preparazione professionale, sia la coerenza morale (CiV 71). L’appello al bene comune indicato dal Santo Padre sarà efficace se tutti gli uomini collaboreranno a questo fine, così come il bene di ciascun uomo non è l’ultimo fine, ma ordinato al bene dello Stato, che dovrebbe essere comunità perfetta. Un retto uso dei mezzi di comunicazione sociale può essere molto efficiente; stampa, radio, televisione, internet dovrebbero essere a servizio del bene comune. L’informazione, dato il progresso raggiunto nella società odierna, in particolare attraverso la globalizzazione, mette in relazione gli uomini di tutto il mondo, con scambi culturali e politici, che in altre epoche erano inimmaginabili. Infatti la pubblica e tempestiva comunicazione degli avvenimenti e dei fatti offre ai singoli uomini quella più adeguata e costante cognizione che permette loro di contribuire efficacemente al bene e di promuovere tutti insieme, più agevolmente, la prosperità e il progresso di tutta la società. Tuttavia il retto esercizio di questo diritto esige che la comunicazione rispetto al contenuto sia sempre verace e ricolmi di giustizia e di pace.
In particolare “I cattolici si sentano obbligati a promuovere il vero bene comune e facciano valere il peso della propria opinione in maniera tale che il potere civile venga esercitato secondo giustizia e le leggi corrispondano ai precetti morali e al bene comune” (AA 14).
Il bene comune (bonum commune, salus publica) può dirsi raggiunto quando i cittadini raggiungono uno stato di benessere terreno e sociale adeguato, quando lo Stato garantisce a ciascuno il posto che gli spetta nella comunità, permettendo di sviluppare le disposizioni largitegli dal sommo Bene, per giungere alla perfezione fisica, spirituale e morale dei singoli e di tutti.

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