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TORINO Le associazioni cattoliche a Draghi: sui migranti cambiare paradigma

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Un gruppo di associazioni e organizzazioni torinesi, tra cui il Meic, ha inviato al presidente del Consiglio Mario Draghi una lettera in merito al tema dei migranti. La pubblichiamo di seguito


Al Presidente del Consiglio dei ministri, prof. Mario Draghi

Siamo un gruppo di associazioni cattoliche torinesi, che di fronte alla recente tragedia delle persone migranti annegate nel Mediterraneo, provenienti soprattutto dall’Eritrea, dal Mali, dal Sahel e dal Nord-Africa, molte delle quali bambini e ragazzi soli, che si aggiunge a una lunghissima serie di eventi analoghi e a una loro probabile, comunque inaccettabile, prosecuzione, ritiene di non poter continuare a tacere voltandosi dall’altra parte, come purtroppo è ormai consuetudine fare, o, peggio ancora, invocando l’attuazione di guerreschi blocchi navali.  

In primo luogo vogliamo ricordare che esistono leggi del mare per cui è obbligatorio, e non solo imperativo morale, soccorrere chi è in pericolo[1]. Queste leggi valgono per tutti, anche per i poveri e i neri. Ma su questo anche i media per lo più minimizzano quando non ignorano volutamente. Che cosa e quanto si sarebbe detto, scritto e protestato, se ad annegare fossero state decine di italiani o di europei? Non è forse necessario riconoscere e non invece impedire il lavoro umanitario disinteressato e legale delle Organizzazioni Non Governative, che oggi spesso, con leggi di egoismo nazionalistico, e con pretesti amministrativi, è impedito, con i conseguenti gravi mortali pericoli di tanti migranti, e non è anche necessario ristabilire un sistema di operazioni di ricerca e di soccorso coordinato dagli Stati? L’Unhcr ha sollecitato la comunità internazionale a «fare di più per rafforzare la protezione delle persone che viaggiano lungo questa rotta e per fornire alternative sicure a questi viaggi pericolosi e disperati». E ancora va ricordato il diritto di emigrare riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (art. 13/2).

In secondo luogo riteniamo che il fenomeno delle migrazioni, causato da guerre o da gravi difficoltà economiche o da persecuzioni religiose e/o politiche, non vada né rimosso né considerato risolvibile con interventi episodici improvvisati o, peggio, con l’esternalizzazione della gestione del fenomeno e la delega a Paesi di vicinato ove il rispetto dei diritti umani non è garantito come in Italia e in Europa (basti pensare ai campi di concentramento libici). Occorre invece:

– Potenziare i programmi di cooperazione allo sviluppo sostenibile nei paesi di provenienza dei migranti, anche in collaborazione con le associazioni della diaspora che la L. 125/2014 riconosce come nuovi attori della cooperazione internazionale e che già da sempre sono i principali autori dello sviluppo sostenibile nei PVS e in transizione (secondo la Banca Mondiale le rimesse inviate dai migranti alle proprie famiglie rimaste in patria  superano di tre volte gli aiuti allo sviluppo dei governi dei paesi ricchi); parimenti può essere utile rafforzare i programmi di migrazione circolare e potenziare i programmi di rientro volontario assistito.

 – Rivedere gli accordi di controllo della migrazione illegale e di contenimento delle frontiere con Paesi in cui non si rispettano i diritti umani e in cui la pratica della tortura è ancora ampiamente utilizzata nei confronti dei migranti. Per evitare poi che la migrazione sia pericolosa e incontrollata occorre istituire canali legali (corridoi umanitari), previo accordo con i paesi di provenienza, e programmare i flussi.

– Va poi tenuto in conto il fatto che in Italia il lavoro dei migranti è ben armonizzato e integrato con quello autoctono, andando a coprire settori ormai abbandonati dalla forza lavoro italiana; questo contribuisce non poco alla crescita del Paese (dati del 2019 ci dicono che il lavoro migrante produce circa il 9% di Pil). La presenza di comunità migranti nel nostro Paese inoltre ha contribuito a contrastare il fenomeno di decrescita demografica. Le persone emigrate in Italia sono una presenza positiva per lo sviluppo sociale economico e culturale del nostro Paese. E tuttavia le diseguaglianze legate all’origine etnica non sono meno significative di tante altre e purtroppo non sono state prese in considerazione nel Recovery plan, dove non c’è nulla che riguardi le politiche migratorie e quelle a favore delle persone immigrate, quando invece è impellente l’esigenza della loro integrazione. Che l’Italia riesca a cogliere in modo adeguato la sfida di integrare queste persone è anche al cuore delle Raccomandazioni strategiche rivolte da Bruxelles a Roma (nelle c.d. Raccomandazioni specifiche per Paese) cosi come emergono dall’ultimo dei rapporti sull’Italia prodotti nel quadro del Semestre europeo. E l’osservanza delle Raccomandazioni (secondo le Conclusioni del Consiglio europeo straordinario di luglio) costituisce uno dei criteri alla luce del quale il Piano italiano deve essere valutato dalla Commissione europea!

– Occorre in ogni caso ripensare la dimensione interculturale in modo adeguato e coordinato con quella dell’accoglienza. Su questo versante, la valorizzazione delle migliori prassi sperimentate a livello locale da enti territoriali, associazioni della società civile, ordini religiosi, fondazioni devono emergere ed essere disseminate per diventare bene comune e condiviso. In questo quadro ci sembra non sia più differibile inserire all’OdG dell’agenda politica strumenti di integrazione per coloro che vivono in Italia, magari da molti anni, quali anzitutto lo ius soli e lo ius culturae. Senza questa prospettiva, il lavoro paziente e quotidiano fatto con ogni persona di provenienza migratoria rischia di diventare parziale, senza efficacia e soprattutto senza futuro.

In terzo luogo riconosciamo che l’Italia non può essere sola, ma deve agire in un quadro europeo ridefinito e coordinato, perché i confini d’Italia sono i confini d’Europa, che in modo unitario deve provvedere a regolare i flussi migratori. Chiediamo perciò che il problema delle persone migranti sia posto urgentemente tra le priorità del Consiglio e della Commissione europea per giungere a un accordo sia sulla loro distribuzione nei diversi paesi sia sugli strumenti di integrazione, che dia luogo a un sistema coerente che tenga insieme le politiche dell’immigrazione (ingresso e soggiorno, e a questo scopo occorre un nuovo Regolamento di Dublino) di competenza statale, con le politiche per l’immigrazione (tutela della salute, istruzione, lavoro, ecc), di competenza concorrente con i livelli territoriali. Dobbiamo essere consapevoli che la generazione futura sarà sempre più una generazione multiculturale, multireligiosa e che le sfide delle cittadinanza non possono non tenere conto di quella che è già una realtà.

Il nostro intervento ha un’ispirazione cristiana, che però crediamo possa diventare un’ispirazione umanistica largamente condivisibile. Certamente sono molte le realtà italiane che condividono questa visione multiculturale della società pur prescindendo da un credo religioso.  Un cambio di paradigma del nostro atteggiamento verso i migranti, come quello qui abbozzato, può costituire un decisivo passo in avanti non solo sociale, economico e politico, ma un passo in avanti di umanità e di civiltà, come quello suggerito da Papa Francesco nel suo recente messaggio per la “Giornata mondiale del migrante”: «Dobbiamo impegnarci tutti per abbattere i muri che ci separano e costruire ponti che favoriscano la cultura dell’incontro, consapevoli dell’intima connessione che esiste tra noi. In questa prospettiva, le migrazioni contemporanee ci offrono l’opportunità di superare le nostre paure per lasciarci arricchire dalla diversità del dono di ciascuno». Ancora una volta e in un modo nuovo l’Italia e l’Europa hanno l’occasione di diventare un faro di civiltà.

Confidando nella Sua attenzione alle nostre richieste porgiamo i nostri più cordiali saluti.

Torino, 13 maggio 2021

Abitare la Terra

Acli Città Metropolitana di Torino APS

Associazione Cascina Archi

Azione Cattolica Torino

Centro Studi Bruno Longo

Chicco di Senape

Comunità di Via Germanasca

Comunità e Politica

Gioventù Operaia Cristiana

Il nostro Pianeta

Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani

Movimento Ecclesiale d’Impegno Culturale Torino

Movimento Lavoratori di Azione Cattolica Torino

Ufficio per la Pastorale Migranti


[1] Ci sono ben quattro convenzioni che costituiscono e permeano il diritto internazionale del mare: sono la Solas, acronimo di Safety of life at sea (Londra 1974); la Sar (Amburgo 1979), che sta per Search and Rescue, per tutelare la sicurezza della navigazione mercantile, che fa esplicito riferimento al “soccorso marittimo”; la Convenzione Onu di Montego Bay 1982, detta anche UNCLOS, acronimo di United Nations Convention on the Law of the Sea, basata su un trattato internazionale che definisce i Diritti e le Responsabilità dei singoli Stati nell’utilizzo dei mari e degli oceani, definendo al tempo stesso anche le linee guida che regolano le trattative, l’ambiente e la gestione delle risorse minerali, e c’è infine il Salvage (Londra 1989) sull’assistenza.