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Moro, l’uomo del dialogo, della ricerca, della Costituzione

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23 Settembre 2018

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“Aldo Moro aveva una grande capacità di aprirsi al mondo. E questo gli rendeva possibile affermare da un lato la propria fede, ma dall’altro anche avere una grande curiosità verso le posizioni degli altri portando in sé una propensione al dialogo”. E’ questo il tratto dello statista pugliese che ha voluto innanzitutto sottolineare Beppe Elia, presidente nazionale del Meic, a Bari in occasione del convegno “Una faticata e severa conquista: Aldo Moro e la democrazia in Italia”, che si è tenuto venerdì 21 e sabato 22 settembre scorsi nell’anniversario della nascita e a quarant’anni dal suo rapimento e uccisione. Nel convegno organizzato dal Meic (in particolare grazie al lavoro della delegazione pugliese) e dall’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, in collaborazione con Azione Cattolica e Fuci, Elia ha voluto ribadire la necessità di recuperare l’attualità del grande statista democristiano “indipendentemente da quegli ultimi suoi 55 giorni. In realtà – ha detto Elia – c’è un Moro che ha una lunga storia di militanza civile ed ecclesiale con un pensiero forte che ha ancora qualcosa da dire oggi. Si vuole recuperare la dimensione di un Moro che è stato capace di leggere la realtà in momenti difficili per il Paese ma con uno sguardo sempre attento a capire cosa stava succedendo. E sempre attento a chi la pensava diversamente da lui”.

Il convegno, ha ribadito Elia, è stato ideato proprio con questo scopo: quello di “fare una riflessione su Moro attento alla realtà giovanile perché non dobbiamo scordarci che lui ha voluto mantenere i suoi impegni all’università anche quando aveva una grande responsabilità politica. Questa grande attenzione alla realtà giovanile allora è un aspetto che viene molto dimenticato. Lui infatti è stato uno dei pochi, negli anni del ’68, ad invitare a confrontarsi con le istanze che provenivano dalla contestazione giovanile”.

Renato Moro, docente all’Università Roma Tre e presidente dell’Edizione nazionale delle Opere di Aldo Moro, ha offerto al convegno un ricordo molto intenso e personale: “Moro è uno straordinario caso di credente fino in fondo. Ricordo un episodio della sera prima del suo rapimento, il 15 marzo, quando il figlio lo ha trovato che leggeva il testo di un grande teologo protestante sul Dio crocifisso”. “Moro – ha aggiunto il decente, nipote dello statista – era un credente fino in fondo. Ma era un credente convinto che i cattolici in politica non portassero verità esclusive, che non si potesse realizzare il regno di Dio sulla terra, ma semplicemente cercare di creare insieme a tutti gli altri esseri umani impegnati un mondo migliore”. Ma il suo rapporto con la politica era anche in qualche modo distaccato, seppure intenso: “Una delle cose che Moro ha sempre rimproverato alla politica – ha sottolineato Renato Moro – è di essere onnipervasiva. Moro è stato un professore, si è sempre considerato un intellettuale prestato alla politica e pronto a tornare al suo posto. La sua vera vocazione riteneva che probabilmente fosse quella di professore e non di leader”. Da illuminato qual era, infine, Renato Moro ha ricordato che l’ex leader della Dc, precorrendo i tempi, “già negli anni ’70 aveva percepito uno scollamento tra politica e società che secondo lui si poteva colmare ma che evidentemente non è stato ancora colmato. Moro va ricordato come uno dei politici italiani più lucidamente che prima hanno percepito i segni di difficoltà nel rapporto tra partiti e cittadini”.

L’arcivescovo di Bari-Bitonto, mons. Francesco Cacucci, ha voluto invece sottolineare il legame profondo tra fede e politica nell’agire di Moro: “La sua fede è stata sempre determinante nella sua azione politica ed è sempre stato un uomo nella cui vita non è mancato giorno in cui non si sia incontrato con Gesù nell’eucarestia”. “Moro – ha continuato Cacucci – è stato un grande uomo di fede e l’ha sempre vissuta in modo discreto, come sottolinea spesso la figlia Agnese. Perché lui ha vissuto la fede alla luce della guida di mons. Montini, assistente della Fuci, mentre lui era presidente. E anche alla luce di una sua elaborazione personale tra fede e storia e tra fede e politica secondo quella categoria del Concilio Vaticano II, scrutare i segni dei tempi”. La relazione di mons. Cacucci era dedicata a “Fede e profezia in Aldo Moro”: “Profezia perché una autentica fede è anche annuncio di un sogno che non è qualcosa che è utopico ma anche un qualcosa che si radica nella storia che però è aperto al futuro. Lui stesso ha detto che ogni spinta politica deve partire da una fede. È vero che non si riferiva direttamente ad una fede cristiana però per lui il Vangelo e il cristianesimo erano la sostanza della sua vita”.

“Tutti gli aspetti che riguardano la personalità di Moro, il politico e lo statista, furono sempre guidati dalla figura di professore. Moro non rinunciò mai alla sua attività di docenza, addirittura subordinando gli impegni politici alle lezioni”. Sta anche in questo la grandezza di Aldo Moro per Corrado Petrocelli, ex rettore dell’Università di Bari, intitolata proprio ad Aldo Moro, ed oggi alla guida dell’Università di San Marino, intervenuto nella seconda giornata di lavori. “Questo da solo – ha detto Petrocelli – mi sembra un particolare che illumina la figura di questa persona a cui abbiamo intitolato l’università proprio in quanto docente, per le sue altissime qualità scientifiche e per quelle, ancora più alte, che aveva nel rapporto con gli studenti”. Altissime in Moro sono state “l’etica e le ragioni della verità. Le ragioni della giustizia – ha concluso Petrocelli – lo hanno sempre guidato. E le sue attenzioni nei confronti dei giovani, anche negli anni difficili che vanno dal ’68 al ’78 ne sono una testimonianza di sé. Lui sente il fermento, è attento, è curioso, partecipa in incognito ad alcune assemblee studentesche. Lo fa perché vuole capire, ascoltare e confrontare con gli studenti. E questa è la ragione per cui lui aveva detto che il senso della storia, il soffio della verità che è nella vita avrebbe dovuto essere raccolto dai partiti che non si potevano rinchiudere dentro un castello”.

“Approfondire oggi la figura di Aldo Moro significa interpretare il vero senso della Costituzione, ma anche del diritto penale, ponendo al loro centro la dignità della persona”. Queste le parole di Francesco Cananzi, componente uscente del Consiglio superiore della magistratura, la cui relazione ha praticamente concluso i lavori del convegno. Cananzi ha spiegato come “Aldo Moro negli anni ’37-’38, neo laureato, declina la centralità della persona e la sua dignità nell’ambito del diritto penale. Inizia un percorso che si sviluppa all’interno della Fuci, un percorso che lo vede protagonista nella vita accademica e poi anche nell’assemblea costituente come colui che afferma il principio di dignità come centrale. È il fautore di un personalismo costituzionale del quale dobbiamo ancora prendere coscienza. La Costituzione italiana è ancora da attuare sotto tanti punti di vista. È una forza generativa della quale non si può non tenere conto e della quale Aldo Moro è stato uno degli autori. E questo lo si può cogliere rileggendo il suo intervento in sede di Assemblea costituente dove fa un programma di interpretazione della Costituzione ancora attuale”.