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ESAME DI COSCIENZA Un’altra narrazione è possibile

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28 Settembre 2018

di BEPPE ELIA
presidente nazionale del Meic

Il primo ministro ungherese Orban gode di una fama crescente per alcune scelte del suo governo, che suscitano reazioni  molto contrastanti poiché prevedono la compressione delle libertà di espressione, religiosa, di associazione, dei diritti delle minoranze e dei migranti, e una limitazione dell’indipendenza della magistratura. Il Parlamento europeo, in una recente risoluzione, ha espresso la sua contrarietà, perché se nel corpo dell’Europa si sviluppa uno spirito così gravemente lesivo dei principi democratici che abbiamo condiviso e vissuto (pur con tutte le manchevolezze) in questi ultimi decenni, l’idea stessa dell’Europa rischia di essere compromessa.  E a rafforzare questa convinzione hanno contribuito i risultati delle elezioni in Svezia, in cui stanno emergendo con forza pulsioni xenofobe e sovraniste del tutto simili a quelle di altri Paesi europei.

Il vento sembra soffiare forte nella direzione di una frantumazione del nostro continente, non solo delle istituzioni che abbiamo faticosamente costruito, ma dello spirito collaborativo, dell’impegno a rendere più solidali delle comunità, aventi storie molto diverse e un passato di conflitti, le quali avevano condiviso l’idea di percorrere una strada comune. Inquieta il fatto che, a fronte di sfide mondiali che richiederebbero una generosa e concorde azione, un’equilibrata politica economica e una comune politica estera,  i Paesi europei siano attraversati da un bisogno sempre più diffuso di difesa di interessi parziali e da una insofferenza crescente verso le regole stabilite a livello comunitario. L’Europa per molti è ormai un avversario da combattere, un freno alla crescita dei singoli Paesi, un impedimento allo sviluppo delle libertà. Se questo sentimento dovesse alla fine prevalere, sarebbe finita la Comunità europea.

La perdita dei legami solidali, con l’eccezione di quelli interni ai gruppi sociali che coltivano le stesse convinzioni o gli stessi interessi, è un dato che appare di tutta evidenza e che stravolge gli stessi meccanismi della democrazia, la quale per sua natura è inclusiva, perché si fonda sul confronto dialettico, e quindi presuppone il rispetto delle idee e delle persone, qualunque esse siano. Sempre più il gioco democratico prevede invece l’identificazione di un nemico da annientare perché ritenuto la causa dei mali sociali che soffriamo (con il corollario di denigrazione, colpevolizzazione a senso unico, mistificazione della realtà, linguaggio senza freni). Pur non essendo fra quelli che pensano che nella società italiana si manifestino atteggiamenti apertamente razzisti (tranne che in alcune frange per ora marginali), sono tuttavia persuaso che da questo stile volutamente litigioso di una parte significativa della classe politica si propaghino sottili forme di intolleranza e di disprezzo dell’altro, ammantate da ragioni apparentemente convincenti, e che possono essere l’anticamera di modelli istituzionali autoritari e lesivi della dignità delle persone.

È necessario essere vigilanti, anche se non ansiosi, perché in questo Paese, come nella gran parte dell’Europa, esiste una riserva di persone, gruppi sociali, comunità, che sente forte il valore della solidarietà, della collaborazione, dell’innovazione, della creatività, anche se le loro voci sono oggi coperte da altre ben più intense e persuasive. Occorre che esse continuino ad esserci e a fare, trovando anche nuovi modi per esprimere il loro pensiero, mettere in luce le loro esperienze, spiegare le loro scelte, sollecitare al cambiamento: l’Italia e l’Europa hanno bisogno di altre narrazioni, per far intendere che c’è un’alternativa alle iniziative dirompenti e alle illusorie scorciatoie, che si può costruire non sulle macerie del passato, ma attraverso un processo che valorizzi quanto di buono si è fatto e rinnovi in profondità le istituzioni e le politiche che si sono rivelate inadeguate. Occorre lucidamente guardare alla complessità del mondo che abitiamo, mettendo in gioco competenze ed intelligenza critica per dare risposte che non servano solo per raccogliere consenso oggi, ma che si misurino con le grandi sfide globali (del lavoro, dell’economia, dell’ambiente, dei rapporti internazionali, della giustizia sociale, delle migrazioni). 

Certamente serve un salto di qualità nella politica italiana, come in quella europea, che oggi non riusciamo ad intravedere. Probabilmente vi sarà da attraversare un lungo deserto, perché le classi politiche che hanno governato in questi anni sono oggi senza parole di fronte ai grandi cambiamenti. La crisi del Partito democratico è a tal riguardo emblematica, e fa tristezza assistere ad un dibattito interno che non sa uscire  da schemi davvero usurati  e inconcludenti, ad una povertà di analisi, alla pochezza dei progetti  e delle prospettive politiche. Ho la convinzione che non saranno questi partiti a cambiare la realtà, ma le espressioni più consapevoli del mondo del lavoro, delle imprese, delle molteplici forme associative e cooperative, che, oggi in modo disperso, ma domani con l’unione degli sforzi e delle strategie, potranno individuare nuovi modelli di integrazione, componendo  istanze diversificate, in forme sostenibili anche per il futuro. È tempo di rimettere al centro la competenza e le competenze, oggi spesso sbeffeggiate, la voglia di lavorare ad obiettivi comuni e grandi (e l’Europa è un grande banco di prova), il coraggio di andare controcorrente. Il cantiere è aperto, servono progettisti e lavoratori che vogliano sporcarsi le mani.

(editoriale pubblicato su Coscienza 3-2018)