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I fenomeni migratori e le responsabilità del nostro Paese. Cinque proposte e un impegno

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(testo discusso dal Consiglio nazionale del Meic nella riunione del 9-10 febbraio 2019 e successivamente approvato dalla Presidenza nazionale)

I dati sinteticamente presentati nel documento riportato in basso mostrano come la percezione comune dei fenomeni migratori sia deformata da una lettura impropria della realtà, la cui entità viene spesso amplificata dalla lente deformante della cattiva gestione e della strumentalizzazione a fini elettorali.

Sulla base di questa osservazione, è importante:

1) non accettare la retorica dell’immigrazione come ondata inarrestabile di popolazione africana impoverita o sradicata dai cambiamenti climatici. I numeri dicono altro e non si vede come potrebbero arrivare grandi masse di migranti in futuro, specialmente dalle aree più povere;

2) non confondere immigrazione e asilo, e non mescolare sbarchi e immigrazione. Se si segmenta la massa amorfa e temuta dell’immigrazione astrattamente intesa e si focalizza l’attenzione su gruppi ben individuati, le questioni diventano più chiare e gestibili. Si dovrà allora parlare di cittadini europei mobili, di studenti, di infermiere, di assistenti familiari, di investitori, di gente che lavora in occupazioni lasciate scoperte dagli italiani, di persone che fuggono da guerre e persecuzioni. Alla fine dell’esercizio, ci si accorgerà che dell’immigrazione incontenibile e temuta resterà ben poco;

3) per evitare un sovraccarico del canale dell’asilo, aumentare le possibilità di ingresso per lavoro in Italia, almeno stagionale. Paesi come la Germania e il Giappone hanno ampliato recentemente le possibilità di permessi per lavoro e anche gli Stati Uniti hanno aumentato il numero di visti per lavoro stagionale;

4) potenziare la soluzione dei corridoi umanitari e in generale le possibilità di reinsediamento di rifugiati provenienti dai paesi di primo asilo. Qui alcune organizzazioni religiose sono attive, cattoliche e protestanti, in collaborazione con numerose comunità locali. Il loro impegno va incoraggiato e sostenuto;

5) che l’Italia aderisca al Global Compact, per migrazioni ordinate, sicure e regolari.

In tutte le sue articolazioni, nazionali e locali, il Meic si impegna a realizzare iniziative di studio, di incontro, di servizio:

  • per aiutare la comprensione dei fenomeni migratori, in particolare per quanto concerne chi fugge da situazioni umanamente insostenibili,
  • per realizzare e condividere forme di accoglienza,
  • per creare una cultura di ascolto e di rispetto reciproco,
  • per generare esperienze di coesione sociale, sull’esempio anche di alcuni gruppi Meic che da anni sviluppano o partecipano ad importanti progetti culturali, sociali, ecclesiali.

ALLEGATO: I NUMERI DEL FENOMENO

Le migrazioni nel mondo

I migranti internazionali nel mondo sono 257,7 milioni, certamente in crescita in termini di valori assoluti (erano 173 milioni nel 2000), ma molto poco in percentuale. Rappresentano infatti il 3,4% della popolazione mondiale, di poco superiore al 2,9% dell’ormai lontano 1990. Dunque quasi il 97% degli esseri umani non si sposta dal suo paese di origine, malgrado i problemi che in tante aree del mondo deve affrontare quotidianamente. Inoltre, 111,7 milioni si sono trasferiti in paesi classificati dall’ONU come in via di sviluppo, e solo 146 milioni verso paesi sviluppati. Una fetta consistente dei flussi viaggia sulla direttrice Sud-Sud, e non mancano neppure le migrazioni Nord-Sud, così come tra gli ingressi nei paesi ad alto reddito una componente importante proviene da altri paesi del Nord globale. Non c’è evidenza di esodi biblici dall’Africa o da altre regioni a basso reddito verso l’Europa.

Un secondo dato importante si riferisce al genere dei migranti internazionali: il 48,4% sono donne. Tolta l’Africa, le donne sarebbero in netta maggioranza.

Le migrazioni in Italia

Venendo al caso italiano, il dato saliente è la sostanziale stabilizzazione della popolazione immigrata da quattro anni a questa parte: 5,33 milioni secondo il Dossier Idos, pari all’8,5% della popolazione. A questi va aggiunta una stima di quasi 500.000 immigrati in condizione irregolare (Fondazione ISMU), la cui incidenza (9,7%) è peraltro inferiore a quella della prima decade di questo secolo (55,9% nel 2002). Le migrazioni non sono state fermate dalla riduzione degli sbarchi promossa dagli ultimi due governi, ma avevano cominciato a calare parecchio tempo prima, soprattutto per la riduzione delle opportunità lavorative.

E’ un persistente equivoco quello che confonde sbarcati, rifugiati e immigrati. In Italia le norme prevedono 21 tipi di permessi di soggiorno, senza contare coloro che non hanno bisogno di nessun permesso per entrare, cercare lavoro e soggiornare: tipicamente i cittadini di altri paesi dell’UE (attualmente circa 1,5 milioni). La stabilizzazione dei numeri relativi agli immigrati dipende in parte dalle naturalizzazioni, che hanno assunto anche in Italia dimensioni più cospicue negli ultimi anni: 200.000 nel 2016, circa 150.000 nel 2017. Ma soprattutto ha inciso la lunga recessione 2008-2015 e la troppo timida ripresa degli ultimi anni.

Assieme alla stabilizzazione, l’altro dato di rilievo riguarda la composizione della popolazione immigrata. Anche gli ultimi dati, pur tenendo conto dei recenti ingressi di persone in cerca di asilo dall’Africa (circa 350.000 tra rifugiati riconosciuti e richiedenti in attesa di risposta secondo l’UNHCR), confermano un quadro assai lontano dalle rappresentazioni correnti: gli immigrati residenti in Italia sono prevalentemente donne (52%), prevalentemente europei (50,9%, in maggioranza cittadini dell’UE: 30,4% del totale), prevalentemente originari di paesi di tradizione culturale cristiana: qui la stima è più incerta, ma il dato reso pubblico parla di un 57,5% di cristiani contro un 28,2% di musulmani (Caritas-Migrantes).

I rifugiati

Quanto ai rifugiati, la maggior parte (40 milioni su 68) sono sfollati interni. Di quelli che passano un confine, l’85% sono accolti in paesi in via di sviluppo. Tra i primi dieci paesi di accoglienza l’unico dell’UE è la Germania, con circa un milione di rifugiati. Il Libano accoglie 164 rifugiati ogni 1000 abitanti, esclusi i palestinesi, l’Italia circa 6.

Immigrazione e le casse dello Stato

Gli immigrati sono un fardello o una risorsa per il sistema pubblico? I dati salienti sono due. Il primo è demografico: gli ultrasessantacinquenni sono soltanto il 4% della popolazione immigrata. Il loro impatto sulla spesa pensionistica e sanitaria risulta pertanto modesto, tenendo conto che la spesa sanitaria nell’ultimo anno di vita delle persone è più consistente di tutta quella della vita precedente. Il secondo dato è occupazionale: 2,4 milioni di immigrati hanno un’occupazione regolare (10,5% dell’occupazione complessiva), e quindi sono sottoposti a prelievi fiscali e contributivi. Pur tenendo conto delle spese che l’immigrazione comporta, tra le quali spicca l’accoglienza dei rifugiati, il saldo positivo a favore dello Stato è cospicuo: fra 1,7 e 3 miliardi di euro.

Nell’ambito del mercato del lavoro risaltano altri due dati: nei servizi domestici (colf e assistenti familiari, dette comunemente badanti), gli immigrati rappresentano il 70,6% del totale. Gli immigrati titolari di attività autonome sono invece 587.000 (9,6% del totale). Formano per esempio il 56% dei commercianti ambulanti.

Le nuove generazioni di immigrati

I figli di immigrati in Italia sono quasi 1,3 milioni, e 826.000 studenti stranieri sono inseriti nel sistema scolastico italiano. Due aspetti meritano una sottolineatura. Il primo riguarda anche in questo caso la quasi cessazione della crescita. Il secondo concerne il fatto che questi alunni “stranieri” nel 60% dei casi sono nati in Italia, anche se la situazione varia molto a seconda degli ordini di scuola, andando dall’85% della scuola dell’infanzia al 27% della scuola secondaria superiore. Le presunte difficoltà linguistiche agli inizi del percorso scolastico, per esempio, dovrebbero essere ormai in gran parte superate. Rimane invece aperto un problema di abbandono precoce della scuola dopo i 17 anni, quando la fuoriuscita riguarda un giovane straniero su tre, contro un 15% per gli studenti con cittadinanza italiana.

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