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ESAME DI COSCIENZA C’è da rammendare il tessuto ecclesiale

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di BEPPE ELIA

Il successo della Lega nelle recenti elezioni europee non è stato una sorpresa, anche se la misura del consenso ricevuto non era facilmente immaginabile. I politologi e i giornalisti politici hanno ampiamente ragionato sulle cause di questo piccolo sisma, che, se da un lato non ha spostato in modo rilevante gli equilibri europei, dall’altro ha modificato il quadro politico italiano rendendolo ancor più problematico. Il sostegno a Matteo Salvini è venuto in larga parte dal Nord, in cui la Lega è sorta e da sempre ha un forte consenso, ma stavolta anche dalle aree del Centro e del Sud, in cui nel passato si riscontrava una forte ostilità verso il progetto leghista; è venuto dal ceto medio, ma anche dalle periferie urbane fino a pochi anni fa favorevoli ai partiti di sinistra; ed è venuto da una parte consistente del mondo cattolico.
Per molti di noi questo è un dato di difficile comprensione, soprattutto in un momento nel quale l’insegnamento di papa Francesco si muove lungo direttrici radicalmente differenti. Eppure sono davvero tanti i cristiani (laici, ma anche preti) che non provano alcun disagio a sostenere iniziative intolleranti verso i migranti, ad accettare politiche definite di sicurezza, ma che sono in realtà la via di un progressivo imbarbarimento sociale, ad allinearsi con uno stile protervo, a condividere forme di contrasto verso le istituzioni europee. Salvini questo lo sa, e i gesti che egli ha inserito con grande forza espressiva nel suo discorso elettorale di fronte al Duomo di Milano, sono il segno del legame con una parte cospicua del mondo cattolico: quella che sente il richiamo di una tradizione identitaria e sacrale, e che non si riconosce nel grande progetto riformatore della Chiesa che papa Francesco ha avviato, e neppure nel suo attingere all’essenza del messaggio del Vangelo. Sembra quasi che decenni di annuncio cristiano, di formazione catechistica, siano evaporati sotto i nostri occhi, incapaci di illuminare il cammino personale e collettivo di intere comunità.
Ci eravamo forse illusi che questo papa avrebbe progressivamente cambiato la Chiesa, l’avrebbe resa più attenta ai segni di un’epoca nuova e complessa. La realtà, almeno in Italia, ci racconta che solo una parte di essa approva questo processo, e ancor meno lo sostiene e vi partecipa attivamente. Assisto, e spero che le vicende dei prossimi anni mi smentiscano, a una divaricazione, perlopiù non dichiarata ma nei fatti, del modo di pensare di tanti uomini e donne, che partecipano alle nostre liturgie e si offrono anche per forme di servizio alla comunità parrocchiale, rispetto all’insegnamento del papa, che ci parla, ogni giorno, del Regno di Dio, annunciato anzitutto ai poveri e agli affaticati di questo mondo. So bene che l’annuncio del Vangelo è impegnativo, ed è esperienza di tutti coloro che vogliono stare alla sequela di Cristo; non per nulla il giovane ricco, che dice di osservare tutti i comandamenti, di fronte a Gesù che gli chiede: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi», si allontana rattristato, perché possiede molti beni. E i beni di oggi non sono solo quelli economici, ma la tranquillità, la certezza di essere dalla parte giusta, un ordine sociale che si vuole difendere ad ogni costo.
Sento con inquietudine che la fede cristiana di molti miei fratelli è differente dalla mia, non solo perché si esprime con differenti forme religiose (il che è anche salutare), ma più radicalmente intorno ad alcuni temi essenziali. E ascolto tanti amici che mi dicono quanto sia urgente dire parole chiare in merito alle questioni su cui oggi siamo sfidati; e quanto sia necessario non lasciare solo papa Francesco, accompagnando il suo magistero con il nostro sostegno e il nostro impegno.
Condivido totalmente questa istanza, ma confesso di essere nel contempo preoccupato che, proprio esprimendo con sincerità e con nettezza i miei convincimenti, possa aumentare la distanza rispetto ai credenti che la pensano diversamente da me o anche semplicemente sono incerti e timorosi in questo frangente della nostra storia.
Mi domando allora se non dovremmo porre al centro della nostra attenzione, anche come associazione, il dialogo con chi oggi non si riconosce nel cammino di rinnovamento della Chiesa. Con quelli che sentono il bisogno soprattutto di essere rassicurati, tanto da volgere lo sguardo verso il passato nella speranza di trovare nei modelli di riferimento più solidi cui ancorarsi. Anzitutto per capire le loro ragioni e i loro sentimenti, perché un vero dialogo presuppone il rispetto dell’altro, l’assenza di ogni forma di superiorità intellettuale; e poi per parlarsi, per confrontare i propri convincimenti, per trovare i punti di contatto, ma soprattutto per confrontarci sulle differenze. Il dialogo non è mai privo di conseguenze, perché stabilisce una relazione buona con l’altro, e ci obbliga a dare ragione della nostra fede.
Il dialogo esige però che ci si parli con chiarezza e con libertà. L’eccesso di prudenza che porta spesso a eludere le questioni problematiche per garantire la concordia fra le mura ecclesiali, genera una grande povertà culturale e rende i credenti spesso incapaci di comprendere le dinamiche della storia e di leggere il Vangelo dentro i fatti e le idee che si stanno manifestando nello spazio pubblico.
Il cardinale Bassetti indicava tempo fa la necessità di “rammendare il tessuto sociale”; è verissimo, ma credo sia altrettanto urgente rammendare il tessuto ecclesiale, dove le smagliature, e anche qualche strappo, sono spesso più nascoste ma non meno presenti.

(editoriale apparso sul n. 2-2019 di Coscienza)