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Addio a Cappelletti: un intelletto e uno stile d�altri tempi

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di TIZIANO TORRESI

Tacente lingua predicante vita: nel narrare la predicazione di Romualdo di Camaldoli alle falde del monte Cucco san Pier Damiani coniò questo aforisma di grande pregnanza spirituale. Accade così per molte vite: più delle parole contano le opere. E accade così quando di quelle vite bisogna parlarne e usare le parole. Mi sembra che la vita di Vincenzo Cappelletti conclusasi a Roma, prossima al traguardo dei novant’anni, il 21 maggio, rientri nel novero di quelle esistenze che parlano da sole, che bastano da sole a tessere le proprie lodi. Ecco dunque l’eloquente predica della sua vita: laureato in medicina e filosofia, Cappelletti è professore di storia della scienza dal 1968 al 1971 a Perugia, dal 1972 alla Sapienza e dal 1993 all’Università Roma Tre. Nel 1956 fonda con Aldo Ferrabino «Il Veltro, rivista della civiltà italiana» e inizia la collaborazione con l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, della quale è direttore generale dal 1970 al 1992. Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, condirettore della rivista di storia della scienza «Physis» e degli «Archives Internationales d’Histoire des Sciences», è stato presidente della Studium, della Domus Galilaeana di Pisa, dell’Académie Internationale d’Histoire des Sciences, della Società Italiana di Storia della Scienza, dell’Istituto Accademico di Roma, dell’Istituto Italiano di Studi Germanici, della Società Europea di Cultura, della Fondazione Carlo Collodi, dell’Académie Internationale d’Histoire des Sciences, della Société Européenne de Culture. Premio Montaigne nel 1991 e per due volte Medaglia d’oro al merito della cultura italiana, per gli sviluppi dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana e per la promozione degli studi di storia della scienza.

A questa serie di incarichi di assoluto prestigio nel mondo della cultura si aggiunge la sterminata attività scientifica sulla storia e sull’epistemologia delle scienze biologiche nella Germania dell’Ottocento, sulle teorie psicoanalitiche, in particolare la psicoanalisi freudiana e la psicologia analitica, sui loro rapporti con le discipline socio-umanistiche, l’antropologia, la filosofia e la sociologia delle scienze, e sull’analisi, dal punto di vista storiografico ed epistemologico, dei rapporti storico-dialettici fra scienza e società.

Tuttavia, se anche componessimo il più dettagliato elenco di iniziative che egli ha propiziato o realizzato nella cultura italiana per decenni e stilassimo un’accurata lista di saggi e volumi che egli ha scritto, la predica della sua vita resterebbe mutila e inefficace. Perché Vincenzo Cappelletti, oltre e prima che formidabile organizzatore di cultura e straordinario intellettuale è stato un uomo dotato di un garbo e di una eleganza personale, nei modi e nell’eloquio, capaci di divenire consustanziali alla sua competenza scientifica, che veicolava nelle sue conferenze e nei suoi scritti, e al garbo istituzionale col quale ha governato enti e istituzioni culturali verso impegnativi traguardi.

Nella Fuci, che lo ebbe giovane militante, nel Meic, nella Fondazione Fuci, nell’editrice Studium lascia un’eredità di ricordi e di imprese che continuerà ad essere coltivata e fecondata, nella fedeltà al suo stile di discrezione operosa, di parole misurate, dette o scritte al posto e al momento giusto, di progetti sempre contraddistinti da un’alta qualità scientifica.

Il 9 novembre 2007 la Fuci venne ricevuta in udienza da Benedetto XVI. Ebbi l’onore di presentare la delegazione al papa e venne il turno di Cappelletti, allora presidente della Fondazione Fuci. Non feci a tempo a proferire il suo nome che Ratzinger, vincendo l’usuale riserbo con un sorriso, gli disse: «Grazie per quanto ha fatto e fa nel mondo della cultura». In quelle semplici parole è detta tutta quanta la gratitudine con la quale oggi lo salutiamo.