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CONVEGNO DI TORINO “Nomi e vie della pace”, in cerca di strade concrete da percorrere

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“Nomi e vie della pace”: intorno a questo spunto molto evocativo si è snodata la seconda giornata del convegno nazionale del Meic “La pace è ogni passo”, alla ricerca di strade concrete proprio per questi passi.

La prima voce a intervenire è stata quella di Angela Dogliotti, presidente del Centro studi Sereno Regis, che ha parlato di non violenza. “La pace è un tema dimenticato, fuori dalle agende politiche: la presenza drammatica dei conflitti armati ne è la testimonianza. E questo vale anche per il quotidiano, pieno di aggressività, di linguaggio violento, anche alimentato dalla rete. Serve una ‘cassetta degli attrezzi’ per una cultura della non violenza, lavorando sull’empatia, sul rispetto dei punti di vista, e praticando percorsi di gestione dei conflitti”.

Cleophas Adrien Dioma, coordinatore del Summit nazionale delle diaspore, ha ricordato che “la pace non è assenza di conflitti, ma prassi politica e diplomatica portatrice di giustizia, elemento in grado di denunciare e combattere le disuguaglianze, momento fondante per dare libertà e democrazia. L’Italia rispetto ad altri Paesi europei ha un’eredità coloniale meno ingombrante e questo può rappresentare un’occasione in più per provare a creare qualcosa di nuovo e interessante in tema di integrazione. Il Summit delle diaspore, in questo senso, è un organismo che dovrebbe essere un’opportunità e una sfida. Le comunità d’immigrati sono pronte, preparate e capace di dialogare con le istituzioni e possono giocare il ruolo di ponte tra l’Italia e i paesi dove si va a fare cooperazione. Sono necessari dunque organizzazione, formazione e accompagnamento, per ascoltare”.

Il convegno è poi andato al cuore del tema dei diritti umani e del diritto umanitario come via della pace: la pastora valdese Maria Bonafede ha raccontato l’esperienza dei corridoi umanitari. Ad Alberto Miglio dell’Università di Torino è toccato invece parlare di tutela dei beni culturali in tempo di guerra: “Il diritto internazionale si occupa di beni culturali, di proteggerli perché la guerra ne rappresenta una minaccia. Negli anni la gravità della minaccia è cresciuta con la maggiore capacità distruttiva degli strumenti bellici. Il danno arrecato al patrimonio culturale in guerra è collaterale. Tuttavia nei conflitti ideologici la distruzione è deliberata. Esiste una Convenzione dell’Aia per la protezione dei beni culturali per i conflitti armati sottoscritta nel 1954 e integrata con un Protocollo nel 1999. Queste norme di diritto internazionale impongono agli Stati l’obbligo di protezione per le persone ma anche per le cose che non partecipano alle ostilità o che non ne devono essere coinvolte nel territorio”.

(Luca Rolandi e Francesca Lozito) #torino2019

I VIDEO DEL CONVEGNO