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Legittima offesa

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di ROBERTO CIPRIANI

Che cosa spinge una persona corretta, onesta e giusta ad atteggiamenti e comportamenti scorretti, immorali ed ingiusti? Possono essere vari fattori messi insieme. Ma soprattutto va considerato un elemento chiave che fa decidere in un senso o nell’altro: il proprio interesse personale. In nome del proprio tornaconto si mettono in moto meccanismi spesso inarrestabili, che portano a conseguenze indesiderate sia per sé che per gli altri perché non si ha il tempo per riflettere su quello che ne può derivare. Così avviene in una situazione d’incertezza, in cui non si sa che cosa stia avvenendo veramente e dunque ci si trova a reagire d’impulso. In tale circostanza non si guarda più in faccia a nessuno, neanche ad amici e familiari. Solo pochi hanno la freddezza di poter stabilire nell’immediato il da farsi, esattamente come avviene in caso di un allarme improvviso, di qualcosa di indefinito che, per esempio, spinge una folla a muoversi all’impazzata anche per un nonnulla, arrivando a schiacciare, opprimere e sopprimere degli innocenti. E tutto ciò senza alcun calcolo preliminare e senza un processo alle ragioni ed intenzioni reali poste in essere. D’altronde la storia dell’umanità ha visto diversi linciaggi e massacri di persone incolpevoli.

Una caratteristica tipica è che in situazioni simili ognuno pensa ed agisce ben diversamente da come avrebbe agito se avesse avuto la possibilità di soppesare le convenienze ed i rischi. Pertanto la suggestionabilità tende ad avere la meglio e produce esiti anche letali. Nell’incoscienza degli attimi di criticità si cade facilmente nell’errore. E si regredisce sino al punto da non riuscire a prestare ascolto a saggi consigli di moderazione.

Fra l’altro indurre l’opinione pubblica, plagiandola, a pensare quasi solo in termini di timore e non di equilibrio ben calibrato non fa altro che favorire la tendenza verso atteggiamenti e comportamenti affrettati, verso decisioni ritenute risolutive, verso l’auspicio di norme drastiche che non si facciano carico della complessità delle casistiche.

La proposta di “Modifiche all’articolo 52 del Codice Penale in materia di legittima difesa”, prevedendo all’articolo 1 che sia “sempre in stato di legittima difesa” chi, all’interno del domicilio o di un’attività, si difenda da un’azione di terzi “posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica”, parte da un presupposto considerato di tipo sempre conflittuale senza alcuna riserva, generalizzando in modo assoluto una situazione da considerare in qualunque caso come pericolosa al massimo.

Così facendo non si prende in esame un dato di fatto che dovrebbe essere scontato e di cui gli Stati Uniti in particolare, con il libero commercio delle armi, vedono le disastrose risultanze con tantissimi morti: consentire sempre e comunque di armarsi è in effetti una spinta a non ricorrere ad altri strumenti di dissuasione che non siano gli acquisti di una pistola od un fucile, ritenuti come l’unica soluzione efficace.

D’altro canto chi ha proposto il cambiamento della normativa già in atto in Italia non si è posto neppure la domanda su che cosa comporti per il ladro o per l’aggressore il sapere che anche la controparte molto presumibilmente sia armata: si tenderà a far fuoco anticipatamente, senza avere il tempo di mirare e stabilire se colpire alle gambe o altrove. E dunque per un verso chi dovrebbe solo difendersi è spinto piuttosto ad offendere ancor prima che ci sia un atto delittuoso grave, mentre per un altro verso il potenziale delinquente è indotto, senza pensarci su, a rendere meno rischiosa la sua situazione, cercando di eliminare qualsiasi ostacolo, ogni deterrente anche umano.

Soprattutto è da tenere presente la dimensione temporale: due soggetti che si affrontano armati difficilmente riescono a temporeggiare in misura sufficiente per calibrare l’azione più opportuna. Se poi, per esempio, chi è subentrato in un domicilio, in un negozio od in un’azienda non è affatto armato come è giustificabile un atto che lo ferisca o metta a morte? Per non parlare di problematiche etiche a livello fondamentale: con quale diritto si toglie la vita ad una persona che, pur nel torto, agisce in condizioni che non producono necessariamente danni irreparabili, esiziali? In questo caso c’è dunque un evidente squilibrio fra il livello di protezione-offesa consentito ed il danno potenziale presunto.

Anche l’uso dell’avverbio sempre è criticabile: non solo è meglio non dire “mai” perché nessuno può prevedere il futuro, ma è anche preferibile non dire “sempre” perché nessuno può immaginare le condizioni reali di un evento. D’altra parte il dire “sempre” impedisce poi ai giudici di valutare le circostanze effettive, legati come sono al presupposto imprescindibile del sempre e comunque.

A livello sociologico non si può, inoltre, non sottolineare il contributo che verrebbe all’incremento di un nuovo e più ampio mercato delle armi e specialmente al diffondersi dell’idea che sia normale possedere un’arma. Peraltro non va trascurato il dato di fatto che l’avere a disposizione uno strumento di offesa ne aumenta le potenzialità d’uso anche al di fuori di quanto previsto dal citato articolo 1.

Come se non bastasse quanto detto sinora, va tenuto presente che il successivo articolo 2 delle modifiche previste permette che non sia punibile chi ha agito “in condizioni di grave turbamento, derivante da situazione di pericolo in atto”. Ebbene chi e come misurerà il livello di turbamento di un fatto pregresso ed il grado di pericolosità posto in essere? Già quest’espressione “grave turbamento” ha dato luogo a varie contestazioni specialmente in casi di femminicidio. Con ogni probabilità la questione della gravità relativa all’alterazione dello stato d’animo si presenterà almeno altrettanto problematica pure nei casi verificatisi all’interno di un domicilio o di un’attività.

Infine l’articolo 3 prescrive che la sospensione della pena al condannato per furto in appartamento è subordinata al risarcimento integrale del danno alla persona fisica. E non specifica altro. Pertanto una persona povera non potrà ottenere la sospensione della pena visto che non sarà in grado di risarcire il danneggiato. Ed anche questo appare un atto d’ingiustizia, che discrimina chi è già in condizione di deprivazione.

Resta tuttavia irrisolta la questione principale: invocare la legittima difesa non può giustificare una legittima offesa.