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A che serve la memoria? A difendere la democrazia

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di MARINELLA V. SCIUTO
vicepresidente nazionale Meic

Auschwitz è un nome che dalla A alla Z racchiude l’alfabeto dell’orrore: proprio nel cuore dell’Europa, è divenuto il luogo dell’annientamento del “diverso”, da identificarsi non solo con gli ebrei ma anche con i dissidenti, gli oppositori, i disabili, i malati di mente, gli omosessuali, i testimoni di Geova, i rom, i sinti, gli slavi. Oggi, a 74 anni dalla liberazione di quel campo di concentramento, celebriamo la XIX Giornata della memoria della Shoah (la “catastrofe”, in ebraico) istituita con la legge 211 del 20 luglio 2000.

Come è stato possibile che nella civile Europa del XX secolo si attuasse una tale barbarie? Diverse sono le categorie di attori coinvolte, a partire dagli “ideatori” e i “pianificatori” fino agli “esecutori” e ai “carnefici”. E infine gli “spettatori”. Su quest’ultima categoria occorre forse oggi attivare una riflessione più ampia. Sono coloro che, da uomini comuni, hanno rinunciato ad esercitare la responsabilità individuale. Sono i cosiddetti “figli di Eichmann” che, come scrive Gunther Anders, “erano all’oscuro di tutto perché non volevano sapere niente; e non volevano sapere niente perché non gli era permesso di volerne sapere qualcosa. Insomma milioni di passivi uomini-Eichmann”. Il valore della memoria della Shoah si esprime allora, come ricordato dalla senatrice Liliana Segre, nella capacità di “respingere la tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano. A non anestetizzare le coscienze, a essere più vigili, più avvertiti della responsabilità che ciascuno ha verso gli altri”.

A che serve dunque la memoria? A difendere la democrazia. Perché la memoria della Shoah non si esaurisca nella vuota retorica del “mai più”, occorre che essa funzioni come il “canarino nella miniera”, secondo la metafora efficace di Wlodeck Goldkorn. “Si dice che una volta si portavano nelle miniere dei canarini, uccelli sensibili al gas. I canarini avvertivano i minatori quando la catastrofe era imminente. Ecco, per me la memoria significa essere un canarino nella miniera, dare l’allarme quando sento l’acre odore del razzismo”. A noi il compito di vigilare sulla nostra fragile umanità sempre esposta al pericolo del virus letale dell’intolleranza, della discriminazione, della xenofobia, dell’odio.