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“Non abbandonarci alla tentazione”. Ma dacci la grazia di superarla

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17 Novembre 2018

di DON GIOVANNI TANGORRA
assistente nazionale del Meic

Il “Padre nostro” è la preghiera principale dei cristiani, se non altro perché è l’unica direttamente insegnata da Gesù. Fin dalle origini è stato tenuto in grande onore, e apparteneva alle due “consegne” (l’altra era il “Credo”) che la comunità cristiana faceva ai candidati al battesimo, per impararlo a memoria e recitarlo insieme durante la celebrazione eucaristica.

La sua traduzione, come in tutti i testi direttamente attribuiti al maestro, non è semplice, anche perché Gesù non parlava in greco. Il fatto stesso che i Vangeli ci forniscano due versioni con sfumature diverse (Mt 6,9-13; Lc 11,2-4), indica che ogni sforzo di risalire alle ipsissima verba è vano.

La preghiera è composta di sette invocazioni. Quella che ha sollevato le maggiori obiezioni è la sesta: “Non c’indurre in tentazione”. La traduzione è corretta, tuttavia immaginare il Padre nella veste di tentatore deforma il suo volto, e, infatti, la fede non ha mai inteso la richiesta in questo modo. Già san Giacomo scriveva: «Dio non tenta nessuno. Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni, che lo attraggono e lo seducono» (1,13-14).

Se ciò che poteva apparire quasi ovvio oggi è piuttosto confuso, ben venga la nuova traduzione che fa chiarezza al significato di un testo, dove si chiede al Padre di esserci vicino nell’ora della prova, di «non abbandonarci alla tentazione», o “non abbandonarci nella tentazione”. È impossibile non avere tentazioni, e nella Bibbia si dice pure che Dio permette che arrivino, come in Giobbe. Ciò che conta è avere la grazia necessaria per non uscirne sconfitti.

La proposta della CEI (che deve passare dall’approvazione della Santa Sede) è di introdurre la modifica «non abbandonarci alla tentazione» nel messale romano. Con essa s’intende pure aderire a un’esplicita volontà di papa Francesco, che attribuisce la tentazione a Satana. Ovviamente il discorso meriterebbe un più ampio approfondimento.

L’altro cambiamento riguarda il “Gloria”, che, anziché “pace in terra a tutti gli uomini di buona volontà”, diventa “pace in terra agli uomini amati dal Signore”. Anche in questo caso si tratta di un adeguamento liturgico, perché l’ultima traduzione della Bibbia ha già entrambe le modifiche. Il testo di riferimento è Lc 2,14, che parla di eudokia, dove però il soggetto è Dio, quindi, letteralmente: “Pace in terra agli uomini che sono oggetto della benevolenza divina”.