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FOLIGNO Il lavoro dopo il Jobs Act

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08 Giugno 2018

di ALVARO BUCCI

Una relazione/riflessione di alto profilo quella sul Jobs Act offerta dal prof. Stefano Giubboni, docente di diritto del lavoro all’Università di Perugia, nel recente incontro organizzato a Foligno dal locale Gruppo Meic in collaborazione con l’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro. Il prof. Giubboni, presentato dal presidente del Gruppo Meic di Foligno, Paolo Tini Brunozzi, che ne ha evidenziato il prestigioso curriculum professionale, ha ampiamente e coerentemente sviluppato il tema “Un bilancio critico del Jobs Act”, scelto dai soggetti proponenti che da tempo stanno seguendo la questione lavoro.

“Si tratta di una riforma organica, la maggiore dalla fine degli anni ’60 e dalla celebre legge rifondativa del diritto del lavoro repubblicano, dello Statuto dei lavoratori del 20 maggio 1970″. Ha così esordito il prof. Giubboni nel presentare il Jobs Act, che tocca tutta la disciplina non solo del mercato del lavoro (dei servizi per l’impiego, delle forme di tutela del reddito in caso di disoccupazione, dalla cassa integrazione guadagni alla Naspi), ma anche i punti centrali della disciplina del contratto di lavoro. E si tratta di un intervento, ha spiegato di seguito il prof. Giubboni,  con “l’obiettivo  che essenzialmente sposta l’accento sulla creazione dell’occupazione  e non sulla difesa dei posti di lavoro”. Un intervento che “ha essenzialmente finalità di promozione dell’occupazione, basato sulla premessa concettuale che favorire la crescita occupazionale, possibilmente in rapporti stabili a tempo indeterminato, richieda una escissione delle tutele tradizionali del rapporto di lavoro”. E’ la logica della cosiddetta flexsecurity, cioè flessibilità e sicurezza. Dove però l’accento cade principalmente sulla flessibilizzazione delle tutele, che significa almeno in parte un ridimensionamento oppure la rinuncia ad alcune tutele tradizionali.

Il prof. Giubboni ha quindi evidenziato ed analizzato ampiamente i diritti che hanno subito un ridimensionamento nella logica della flessibilizzazione. “Tutti i principali diritti relativi alla gestione del rapporto di lavoro – ha precisato – ed in particolare in due aree, che sono classicamente centrali: nell’area della tutela della professionalità del lavoratore, cioè in quella che riguarda la disciplina delle mansioni delle qualifiche del lavoratore, e soprattutto nell’area della tutela del posto in caso di licenziamento ingiustificato”. Una riduzione delle tutele, cioè, che riporta il diritto del lavoro italiano ad un livello che è anteriore a quello che fu stabilizzato dalla Legge 300/1970, lo Statuto dei lavoratori.

Inoltre – ha osservato ancora Giubboni – mentre con  il primissimo intervento del Jobs Act, della primavera del 2014,  si perseguiva la riduzione dei diritti con l’obiettivo di accrescere la possibilità di assumere e quindi avere più posti di lavoro ed in particolare a tempo indeterminato, “si allargava in maniera molto forte la possibilità di assumere a tempo determinato” attraverso il superamento dei limiti, resi derogabili, sia del tetto temporale dei 36 mesi, che del rapporto del 20 per cento tra lavoratori assunti a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato. Ed ha  evidenziato, quale esempio di intervento legislativo abnorme, una norma del decreto attuativo della riforma, il n. 23 del 2015, secondo la quale, in caso di licenziamento disciplinare per giusta causa, si preclude al giudice di ordinare  la reintegrazione  nel posto di lavoro anche quando accerti che quella sanzione è sproporzionata.    

Visto peraltro,   ha puntualizzato inoltre Giubboni, che soprattutto la stragrande maggioranza delle nuove assunzioni avviene a tempo determinato e con contratti più brevi e con un arretramento drastico delle tutele, gli obiettivi di flexsecurity non sono stati conseguiti.

“Evidentemente occorre cambiare strategia“, ha affermato con forza il relatore, che ha di seguito offerto alcune significative proposte:   ridurre quanto meno lo spazio di libertà di assunzione a tempo determinato; ridurre e rendere inderogabile il tetto massimo di assunzione a tempo determinato (36 mesi sono troppi); ripristinare uno spazio di tutela reintegratoria anche per gli assunti  con contratti a tutele crescenti; ripristino per il giudice del controllo di proporzionalità sulla sanzione, in caso di licenziamento disciplinare;  agire in maniera più convincente sui servizi per l’impiego (politiche attive del lavoro, dove l’Italia spende anche meno della metà rispetto a Germania e Francia) e sulle tutele per il caso di disoccupazione.

E’ seguito un altrettanto interessante dibattito cui sono intervenuti Paolo Tini Brunozzi, Pietro Natalino Pergolari, Armando Mattioli, Antonio Moretti e lo scrivente alle cui valutazioni ed interrogativi ha replicato puntualmente il prof. Giubboni.

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