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Mettiamo in gioco intelligenze e passioni

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24 Maggio 2018

di BEPPE ELIA

Nell’introduzione del cardinale Bassetti all’Assemblea generale della Cei, vi è un passaggio che richiede di essere approfondito, perché ci riguarda molto da vicino. Il presidente dei vescovi, dopo aver osservato con preoccupazione le difficoltà, lo smarrimento culturale e morale, le conseguenze del disagio sociale sul versante politico, individua uno spiraglio di speranza richiamando la tradizione di impegno politico e sociale della comunità ecclesiale italiana e le energie nascoste e disinteressate che si esprimono nei territori, per il bene delle nostre città; e si domanda se non sia tempo di un rinnovato impegno. Lo fa con una sollecitazione critica: «Dove sono le nostre intelligenze, dove sono le nostre passioni? Perché il dibattito tra noi è così stentato? Di che cosa abbiamo timore? Gli spazi che la dottrina e il magistero papale ci hanno aperti sono enormi (…) ma sono spazi vuoti se non li abitiamo».

Credo che un movimento culturale come il Meic sia interpellato da questo interrogativo, forse anche un po’ rimproverato per non avere messo in campo le sue risorse, il suo impegno e la sua creatività in questo frangente problematico, ma anche, per molti versi stimolante. Non che nelle riflessioni e nell’iniziativa dei nostri gruppi il tema della politica sia assente, ma abbiamo troppo poco fiato per far sì che interessanti analisi e progetti escano dalle stanze in cui si sono prodotti. Vi è certamente un problema di comunicazione, ma non è il solo, e neppure il principale. Osservando ciò che avviene in molte parti del Paese, sento crescere la domanda di una più efficace presenza politica, di noi credenti anzitutto, ma anche da parte di tutti coloro che sentono il bisogno di ri-alimentare una democrazia fattasi evanescente, e quindi a rischio.

Questo richiede, e lo abbia detto in molte occasioni, anzitutto mettere in gioco le nostre intelligenze e le nostre passioni, come ci chiede Bassetti, in un lavoro culturale non più frammentato (anche se interessante), ma corale, perché tornino a circolare idee e a generarsi confronti. In questi giorni vi è chi ha evocato una prospettiva in cui il popolo sconfigga le élite. Ma questa frattura esiste solo quando le élite diventano oligarchie, dei mondi chiusi; se invece chi dispone di maggiori strumenti di conoscenza entra in sintonia con il popolo, ne coglie i sentimenti, i pensieri, i timori, le speranze, e stabilisce relazioni umanamente ricche, si genera una circolarità virtuosa, in cui tutti si impara, e che aiuta una comunità a meglio comprendere la realtà e a scegliere la propria strada in modo più oculato.