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ESAME DI COSCIENZA è il momento di pensare al bene comune

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08 Maggio 2018

di BEPPE ELIA
Presidente nazionale del Meic

Poco più di un anno fa, ricordando Aldo Moro, il Presidente della Repubblica tracciava questo profilo: «Cruciale, in Moro, il rapporto Stato-politica-società. La comprensione dei fatti sociali, delle loro interrelazioni, dei collegamenti con le ansie crescenti negli altri Paesi, si accompagnava a un profondo rispetto nei confronti dei fenomeni nuovi, verso i quali si poneva in atteggiamento di ascolto, per fare in modo che riannodassero il loro percorso all’ambito della democrazia repubblicana e arricchissero i modelli di vita comune organizzata nelle istituzioni. Vedeva queste, cioè, costantemente modulate sugli effetti positivi delle trasformazioni in atto nel Paese».

Il riferimento era soprattutto alla contestazione giovanile del Sessantotto, ove Mattarella rilevava che «tra gli intellettuali e gli uomini politici della sua levatura, Moro appariva il meno dogmatico e il più aperto alle novità che emergevano nella società, costantemente interessato a conoscere, in particolare, le speranze, le aspirazioni, i bisogni che maturavano nell’animo dei giovani».

A distanza di cinquant’anni, il Paese torna a vivere un momento di grandi tensioni, ma in un contesto profondamente diverso: non più per la presenza di un movimento giovanile originale e creativo, che scuoteva alle fondamenta un sistema sociale fino a quel punto apparentemente stabile, ma, al contrario, per il radicarsi odierno di una diffusa e incontenibile ostilità di ampie fasce sociali  verso il potere politico, percepito come mondo chiuso e interessato soprattutto alla sua perpetuazione.

Si leggono in questi giorni commenti molto netti sul significato del voto, interpretato spesso come reazione populistica, credito concesso a chi ha promesso di rompere con un sistema di governo giudicato incapace di guardare ai bisogni della gente, sconfitta irreversibile di ogni forma di mediazione, vittoria del radicalismo contro ogni idea di riforma graduale. Ma sento che questa lettura ha un carattere semplificatorio; l’impressione è che la realtà non sia così facilmente descrivibile, e che occorra nuovamente ascoltare, con lo spirito attento di Aldo Moro, e senza precipitosi giudizi, «le speranze, le aspirazioni, i bisogni» che maturano oggi, soprattutto tra i giovani, anche se espresse in modo meno vivace che nell’epoca della contestazione.

Non nego di osservare con inquietudine il successo di alcuni partiti e movimenti politici, che esprimono, senza ambiguità e con toni aggressivi, un’idea di Paese arroccato a difesa delle sue radici culturali e religiose, battagliero nel recuperare il benessere minacciato da un’Europa arcigna, liberato da un’amministrazione pubblica oppressiva e predatoria. Non si tratta più del pensiero di minoranze, ma di idee che stanno maturando e producendo frutto su un terreno sempre più esteso, e che fanno breccia pure fra molti credenti, come ho avuto modo di constatare anche personalmente: e spesso chi si propone difensore dei “valori cristiani”, suscita approvazione, a dispetto di ogni parola e gesto apertamente antievangelici e disumani. Non è un problema marginale, e non possiamo osservarlo con distacco, perché questi orientamenti politici si stanno sviluppando in ambiti ecclesiali in cui la riflessione, l’elaborazione culturale e la discussione sono divenute merce rara.

Nel contempo, colgo nel voto del 4 marzo, oltre ad una scelta di protesta contro l’establishment che ha guidato il Paese in questi ultimi decenni, la speranza che una realtà politica nuova, non compromessa con una gestione opaca del potere e poco incline ai mercanteggiamenti, possa dare slancio ad una società sfiduciata e chiusa in se stessa. Ho la consapevolezza che in molti programmi politici ci siano ambiguità, promesse che non fanno i conti con la realtà, e una indeterminatezza che lascia spazio a percorsi politici ondivaghi, come pure mi rendo conto che l’inesperienza di una parte cospicua della nuova classe politica nella gestione dei complessi problemi del Paese e soprattutto internazionali possa creare situazioni pericolose. Ma credo sarebbe un errore, da parte di chi ha a cuore il bene comune, non cogliere e non valorizzare quanto di positivo sta emergendo, e quindi promuovere un confronto reale e sostanziale. Domandandoci ad esempio, intorno ad alcuni temi concreti e a progetti qualificanti, quale Italia (e quale Europa) vogliamo e su quali valori desideriamo costruire le nostre comunità. Dopo una campagna elettorale orientata a mettere in luce l’assoluta inconciliabilità dei progetti politici in competizione, è tempo di ragionevolezza. E i litiganti di ieri dovrebbero finalmente parlarsi, senza troppi calcoli politici, ma guardando ai bisogni reali delle persone, non solo per tamponare le criticità di oggi, ma per dare motivi concreti di fiducia ai cittadini di domani.

E c’è un altro aspetto che chiede di essere esaminato con attenzione, e cioè il declino, apparentemente inarrestabile dei partiti riformisti; poiché stiamo assistendo, e non solo in Italia, alla crisi, soprattutto sul versante di sinistra, di una proposta politica che non riesce ad armonizzare i valori fondanti della dignità personale e della solidarietà con uno scenario economico e sociale – non più solo nazionale – grandemente mutato negli ultimi anni e in continua trasformazione. Così come si mostra usurato il modello di partecipazione che per decenni ha innervato la democrazia dei paesi occidentali: si sono indeboliti gli strumenti del dibattito popolare, e rarefatti i luoghi di incontro in cui ascoltare le persone, dare spazio ai loro problemi, e di conseguenza, fornire loro qualche utile chiave interpretativa di una realtà molto complessa, e ragioni di speranza per vincere le paure e le preoccupazioni. E questa frattura fra la classe politica e il Paese non riguarda solamente i partiti e la loro sopravvivenza, ma tutti noi, perché interroga il futuro della nostra democrazia. Ci è dato di vivere in un tempo in cui è quanto mai necessaria passione per ricostruire, non aggiornando vecchie formule, ma sviluppando un paziente lavoro di lettura della realtà e di rigenerazione, culturale e sociale, prima ancora che politica.

(editoriale apparso sul numero 1-2018 di Coscienza)