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40 anni dopo, Aldo Moro: è tempo di “liberarlo”

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16 Marzo 2018

«Se Moro è ricordato in Italia e nel mondo è per il suo rapimento. L’immagine più diffusa resta quella con dietro la stella a 5 punte della Brigate Rosse. In parte era inevitabile. Ma oggi, a 40 dalla sua tragica fine, con tutta la necessità che ancora c’è di conoscere quel che sia davvero accaduto in quei 55 giorni, è inaccettabile che questi possano fagocitare quasi 62 anni di vita. È arrivato il momento di restituire a Moro la sua voce, la sua vita». 

A dirlo è il nipote dello statista, il professor Renato Moro, in una bella intervista al quotidiano Avvenire in occasione del quarantennale della strage di via Fani. Oltre al Moro martire della democrazia c’è il Moro che di quella stessa democrazia italiana è stato costruttore paziente e infaticabile, dalla Costituente fino ai giorni della “solidarietà nazionale”. Un uomo e un cristiano la cui vita ha segnato profondamente la storia del nostro Paese, molto più della sua morte, anche se percepiamo quasi il contrario. E in questi tempi confusi e frammentati, il suo agire politico incentrato sul dialogo e sul “compromesso” nel suo significato più alto (“cum promittere”, promettere insieme) può ancora illuminarci la strada. 

Ecco perché, per dirla con suo nipote, è tempo di “liberare Moro dal carcere brigatista” e riconsegnarlo a chi, anche a partire dal suo esempio, lavora alla tessitura quotidiana del bene comune.

«Mio zio Aldo Moro era un uomo libero. È ora di riscoprirlo»
Intervista a Renato Moro – di Angelo Picariello (Avvenire, 15 marzo 2018)