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Quella Politica (con la maiuscola) che non dobbiamo temere

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di BEPPE ELIA
presidente nazionale del Meic

È delle scorse settimane un’intervista che Beppe Grillo ha rilasciato ad Avvenire, uscita in contemporanea ad un’altra, concessa dal direttore dello stesso quotidiano, al Corriere della Sera, nella quale egli ha affermato che su tre quarti dei grandi temi, cattolici e Movimento Cinque Stelle hanno la stessa sensibilità. I due fatti sono stati interpretati come il segno di una nuova strategia della Cei nei confronti del M5S, anche se, attraverso successivi chiarimenti, il direttore di Avvenire e il segretario della Cei hanno ridimensionato la portata delle due iniziative giornalistiche. La vicenda merita però qualche riflessione.

Primo: quanto avvenuto è segno di un cambiamento di stile che sta accompagnando l’espressione di idee e di analisi dentro la Chiesa, in cui il dibattito e il confronto fra posizioni non sempre omogenee comincia a farsi lentamente strada. Con qualche preoccupazione, naturalmente, per il timore di generare confusione in un popolo che già vive con difficoltà la complessità dei problemi odierni, ed anche per la consapevolezza che si possa perdere un’unità di posizione di fronte a temi qualificanti della vita civile e sociale.

Si tratta di un processo che chiede a tutti noi credenti di guardare negli occhi la realtà, con un’azione di discernimento che chiama anzitutto in causa la coscienza personale, sollecita le nostre capacità di interpretare gli avvenimenti, ci spinge ad essere meno timidi nel parlare e nel fare. In Evangelii Gaudium papa Francesco affronta la questione del conflitto nello spazio sociale, affermando che esso deve essere accettato, risolvendolo e trasformandolo secondo il principio di prevalenza dell’unità sul conflitto. Nello spazio ecclesiale, dove talvolta le differenze hanno dato luogo a tensioni e contrapposizioni, dobbiamo in modo analogo imparare a riconoscere le differenze, accettandoci reciprocamente nel segno di una fraternità che ha nel Vangelo la sua sorgente. È fin troppo evidente che nella Chiesa esista una pluralità di pensieri, di sensibilità, di prospettive; negarle o silenziarle in nome di un’esigenza di compattezza non è rispettoso delle persone e neppure aiuta la Chiesa nel suo compito missionario. Oggi, infatti, la Chiesa può colloquiare con gli uomini e le donne proprio perdendo quell’immagine di compagine rigorosa e compatta che suscita una diffusa avversione, ma contando sui gesti e sulle parole di credenti ricchi di umanità nell’ambito delle relazioni personali e nello spazio pubblico.

Un secondo punto. Nell’opinione pubblica è ancora fortemente presente l’idea che siano i vescovi a dettare la linea anche quando si tratta di elaborare progetti o intraprendere iniziative in ambito sociale e politico. Ciò accade ancor più quando ci si deve pronunciare su temi eticamente rilevanti. Quindi, secondo l’opinione comune, quando responsabili di organizzazioni ecclesiali dicono il loro pensiero, in realtà non fanno che muoversi lungo una direzione già tracciata dell’episcopato. Noi sappiamo che questo nella realtà non è vero, perché esistono molti credenti che esprimono con maturità e competenza le loro idee, pur ricercando una relazione di dialogo rispettoso e di collaborazione con i propri vescovi, così come sono tanti coloro che non hanno mai smesso di lavorare al servizio del bene comune in modo umile e disinteressato e con grande autonomia personale. Non possiamo però negare un diverso problema: i laici fanno oggi fatica ad inserirsi nello spazio pubblico, a partecipare in qualche forma alla vita politica, da un lato perché si sentono impreparati ad assumere qualsivoglia responsabilità di questa natura, ma anche perché si va diffondendo la convinzione che sia impossibile determinare cambiamenti sostanziali nei partiti o nelle organizzazioni politiche e di partecipazione. Ma i laici fanno anche fatica a discutere e a confrontarsi, dentro e fuori la comunità ecclesiale, su temi che pure riguardano la vita loro e di tanti uomini e donne, con il rischio di ingenerare una superficialità nei giudizi, un accodarsi alle opinioni prevalenti, un consegnarsi ai luoghi comuni, alle false percezioni, senza capacità di vero discernimento.

A noi della grande famiglia dell’Azione Cattolica, riunita in Piazza San Pietro per festeggiare i 150 anni dell’associazione, Francesco ha chiesto di “entrare in politica” e precisando che deve essere quella con la P maiuscola. Abbiamo tutti pensato che volesse invitarci a farlo, evitando le trappole delle iniziative di basso profilo, degli accordi di potere, della miopia progettuale. E certamente questa lettura è corretta. Io, però, penso che egli ci stesse chiedendo anche un servizio che non sia solo generoso e disinteressato, ma che sia innestato su alti riferimenti culturali e valoriali, rielaborati attraverso un’attenta mediazione. La fedeltà al Vangelo non ci sottrae alla responsabilità di conoscere, prima di decidere, attraverso gli strumenti dello studio, della ricerca, del confronto. Da qui può nascere anche una pluralità di scelte.

Fossimo davvero capaci di ridare voce e di sostenere, nella Chiesa, un laicato che riprende interesse a parlare delle vicende del mondo, della vita concreta delle persone, e che con coraggio dà il proprio apporto alla vita politica, forse i media sarebbero più attenti alla vivacità della comunità ecclesiale e sarebbero meno impegnati ad inseguire ciò che pensano il segretario o il presidente della Cei.